ROMA – “Ho sempre cercato di accogliere le parti private delle vicende processuali con il sorriso: ho sempre immaginato che il potere legato a questo mestiere vada esercitato con responsabilità. Ho sempre immaginato il senso di angoscia che prova l’estraneo che entra nel Palazzo di giustizia”. Con queste parole il pm di Napoli Henry John Woodcock ha rivendicato davanti alla Sezione disciplinare del Csm la correttezza del suo operato. Woodcock è sotto processo disciplinare insieme alla collega Celestina Carrano per l’interrogatorio – nell’ambito dell’inchiesta Consip – dell’ex consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni, che secondo l’accusa venne sentito come testimone e dunque senza difensore, anche se avrebbe dovuto in realtà essere indagato. E gli vengono contestate anche le modalità con cui avvenne quell’interrogatorio, vissute dallo stesso Vannoni come lesive della sua dignità. A quell’interrogatorio “Vannoni arrivò già sconvolto e trafelato” ha detto Woodcock, spiegando che per metterlo a suo agio sia lui che la collega Carrano gli chiesero se voleva un bicchiere d’acqua o andare in bagno”, ed evidenziando che il contesto delle domande fu “ordinario”. Al pm vengono contestate anche alcuni giudizi sull’inchiesta che vennero pubblicati da Repubblica: “il colloquio con Liana Milella (ndr l’autrice dell’articolo) fu salottiero, cioè tra due amici che si conoscono da più di 20 anni, e si chiuse la conversazione con il giuramento solenne da parte sua che non avrebbe pubblicato nulla”, ha spiegato Woodcock, ma quell’impegno fu “tradito” dalla giornalista.
Pg al Csm, condannare Woodcock e Carrano
Condannare il pm di Napoli Henry John Woodcock alla censura e la sua collega Celestina Carrano all’ammonimento (la sanzione minima). Al processo davanti alla Sezione disciplinare del Csm a carico dei due magistrati che hanno condotto l’inchiesta Consip il Pg della Cassazione Mario Fresa distingue le responsabilità. Entrambi vanno ritenuti responsabili di aver violato i diritti di difesa dell’ex consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni per averlo ascoltato il 20 dicembre del 2016 come testimone, quando ci sarebbero già stati gli elementi per la sua iscrizione nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta Consip. Solo a Woodcock invece si possono imputare le modalità con cui si svolse quell’interrogatorio, perchè Carrano non ebbe “un ruolo attivo”. Modalità, sempre smentite dai pm e dagli ufficiali di polizia giudiziaria loro collaboratori, che furono denunciate da Vannoni quando venne sentito dalla procura di Roma e che oggi Fresa ha richiamato nella sua requisitoria: come il mostrargli dalla finestra il carcere di Poggioreale per chiedergli se ci volesse andare in vacanza o dei fili per fargli credere di essere intercettato, o il pressing di domande a cui fu sottoposto, accompagnato dall’invito a confessare. Per il Pg non ci sono dubbi: Vannoni andava iscritto nel registro degli indagati così come i pm fecero per l’allora ministro Luca Lotti e per il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, tutti chiamati in causa il giorno prima come fonti della notizia che c’era un’inchiesta su Consip dall’ad dell’epoca Luigi Marroni. Non farlo è stata una “scelta sbagliata, ispirata dalla logica di due pesi e due misure”. Ma Fresa va oltre: parla di una “strategia investigativa” mirata al “soggetto più debole” tra quelli chiamati in causa da Marroni, cioè Vannoni, che a un certo punto di quel famoso interrogatorio fece il nome di Matteo Renzi, dicendo che gli aveva detto “di stare attento a Consip”. Secondo i pm e gli ufficiali di Pg Vannoni fece quell’affermazione, senza che gli fosse stata rivolta una domanda specifica. Una versione che non convince Fresa: “Il nome di Renzi è stato chiesto, non posso credere che sia uscito come Minerva dalla testa di Giove”. Prima della requisitoria Woodcock ha reso alcune dichiarazioni spontanee per rivendicare la sua “lealtà” e la “correttezza” del suo operato, smentendo ancora una volta che quell’interrogatorio sia mai uscito dai binari consentiti. E ha ribadito che i suoi giudizi sull’inchiesta Consip che vennero riportati da Repubblica (altra vicenda per cui Fresa ha chiesto la sua condanna) non dovevano essere pubblicati, ma che venne “tradita” la sua fiducia. Il processo riprenderà il 18 e la parola passerà alla difesa.