Torre Annunziata. “Mio fratello è morto, aveva un sogno: raggiungermi qui a Torre per giocare a pallone. Era molto bravo, faceva l’attaccante. Io invece contro di lui, da piccolo, mi mettevo sempre in porta. Ancora non ci credo, era bellissimo giocare insieme. Non potremmo farlo mai più. Lo stavo aspettando da tre anni”. Lo ha saputo due giorni fa e ancora giustamente piange Lamin, 25 anni, scampato nel 2009 alla miseria del suo Paese, il Gambia. Voleva farlo anche il suo unico fratello, Alaki, che di anni ne aveva invece 27. L’ultima strage di disperati, annegati il 16 gennaio scorso dopo l’affondamento di un gommone al largo della Libia, li ha invece divisi per sempre. Alaki, partito dal poverissimo Gambia con un sogno nel cassetto, indossare forse un giorno la gloriosa maglia del Savoia, non ce l’ha fatta: è tra le 117 vittime dell’ultima strage ascritta il mese scorso dal vicepremier grillino Luigi Di Maio “a una fase coloniale ancora in atto in Africa ad opera di alcuni Paesi d’Europa. Soprattutto la Francia”. Ma Alaki, a bordo un mese fa dell’ultimo barcone della morte, in testa aveva solamente l’Italia, il suo unico fratello Lamin, che a Torre Annunziata nel 2009 era arrivato. E infine dopo il classico viaggio della speranza, imbarcatosi dalla Libia verso l’Italia assieme all’amico del cuore, era riuscito a sbarcare il lunario. Accolto dalla comunità alloggio salesiana “Piccoli Passi Grandi Sogni”, gestita in via Margherita di Savoia dal parroco anti-clan don Antonio Carbone, oggi Lamin lavora infatti presso una nota pizzeria del centro. Ma ieri Lamin è rimasto a casa, a lavoro non poteva proprio andare. Sconvolto dalla notizia della morte di Alaki. Il suo unico fratello, che per colpa di un gommone capovoltosi nel Mediterraneo non giocherà mai più a pallone. Non vestirà mai la gloriosa maglia bianca del Savoia. “L’ho saputo due giorni fa. Un amico comune, mio e di Alaki, mi ha scritto su Facebook. E’ stato orrendo. A me è toccato invece il compito di dirlo ai nostri genitori. Sono sconvolto”. Sconvolto è anche don Antonio Carbone, il salesiano che continua ad aiutare migranti e clandestini, “fregandomene del ministro della Lega, del suo decreto sicurezza”. Ieri il parroco ha provato invano ad asciugare le lacrime di Lamin. Infine, laconico ma tranciante, ha commentato: “La strage dei migranti in mare? E’ un nuovo olocausto di genere”.
Salvatore Piro