La bara di mogano lucida attraversa i viali del camposanto in un silenzio surreale, scortata da agenti della Digos di Napoli e dai familiari. Il feretro di Mario Fabbrocino, boss di camorra morto martedì scorso, passa davanti a decine di tombe del cimitero di Ottaviano. L’ultimo viaggio, l’ultimo capitolo, della storia del ras vesuviano. E quel viaggio verso la cappella di famiglia è anche un incrocio con il destino, con il sangue che ha sparso negli anni in cui ha guidato una delle cosche più sanguinose e violente della provincia. Perché nel breve tratto di strada tra l’ingresso del camposanto e il monumento funebre si passa anche davanti ai resti di Roberto Cutolo, il figlio del capo della Nco e grande nemico di Fabbrocino. Lo fece uccidere lui nel 1990 da Antonio Schettini, che commise materialmente il delitto, per una vendetta di sangue e per un patto con il clan Trovato-Flachi. Ordinò la morte del giovane di 28 anni che viveva a Tradate, in provincia di Varese, l’ennesima morte di una guerra tra clan durata anni. Oggi entrambi riposano nello stesso cimitero, a poca distanza l’uno dall’altro. Carnefice e vittima.
Andrea Ripa
Giovanna Salvati