di Raffaele Schettino
L’unica certezza, in questo angosciante e deprimente circo politico, è che il futuro è sempre peggiore del presente. Un lento, inesorabile, declino ideologico e culturale. Ogni volta che si ferma una giostra elettorale ci ritroviamo sempre un gradino più in basso del precedente. Quello che accade a livello nazionale, imbarazzante e sempre più spesso indecoroso per la storia del nostro Paese, spesso si riflette drammaticamente nei Comuni: incapacità, qualunquismo, demagogia. Di conseguenza veleno e odio. E alla fine, quando sparisce la cortina di fumo tutto è quasi sempre maledettamente chiaro: pochi risultati e un mare di inchieste con dentro i miserabili di turno.
Eppure pensare che la colpa sia tutta dei politici sulla cresta dell’onda è l’errore più grave che si continua a commettere. La verità è che in questo scenario di decadenza, ci sono almeno due colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio: la classe dirigente della sinistra da una parte, l’elettorato che ha smesso di crederci scomparendo nell’astensionismo, dall’altra. Entrambi continuano a starsene alla finestra, aspettando che si succedano gli uni agli altri, che accada qualcosa, sperando in un miracolo capace di cambiare finalmente il verso delle cose. Al massimo si abbaia sui social, come se le rivoluzioni potessero essere realizzate a colpi di post e like. L’unico risultato del disimpegno è che si rafforza un sistema malato nel quale cambiano di volta in volta soltanto gli attori. Ed ogni volta si fa quel salto in giù verso il baratro più buio.
L’assenza della sinistra pesa non tanto sugli obiettivi, visti anche gli oggettivi fallimenti politici recenti, pesa piuttosto sul terreno del confronto civile, pesa drammaticamente sulla tenuta delle deboli barricate opposte all’odio. Pesa in maniera quasi irreversibile nel disperato tentativo di coinvolgere il maggior numero di cittadini nelle scelte che riguardano il nostro futuro. Non è un caso che la crisi identitaria della sinistra si leghi a doppio filo al boom di astensionismo, che non è più soltanto protesta, ma è diventato disaffezione, disinteresse, quasi tragico fatalismo. Dunque la sinistra e il suo popolo assonnato sono colpevoli. Quanto o più di chi lavora all’inaridimento del confronto. Sono colpevoli quando disertano la resistenza civile, quando si piegano alla logica del potere, quando diventando complici del clientelismo, arrivando persino ad apprezzarne lo squallido e nauseabondo sapore. Sono colpevoli ogni volta che decidono di uscire di scena, di starsene in silenzio nell’arena assetata di sangue. Quando scelgono di non prende posizione, per paura o per interesse, in un’inutile battaglia di retroguardia che non serve a difendere quei valori che hanno reso l’Italia un grande Paese.
I migranti. I gay. I poveri. Le minoranze. Gli operai. Gli ultimi. Tutto passa, tutto si dimentica. E intanto l’asticella dell’odio si sposta ogni giorno più in avanti, fin quando ognuno di noi non si ritroverà dalla parte “sbagliata”. La sinistra è colpevole perché più degli altri avrebbe l’obbligo di difendere la storia invece di metterla a dormire nei cassetti. Più degli altri non dovrebbe voltarsi dall’altra parte aspettando che passi la bufera, ammesso che dopo resti qualcosa dalla quale ripartire. La sinistra e il suo popolo assonnato sono colpevoli perché hanno piegato la ragione alla logica qualunquista, hanno favorito il proliferare di politici senza radici e hanno fatto in modo che le eccellenze fossero prima voci nel deserto e alla fine delusi in fuga dall’impegno civile. Hanno consentito alla pialla della finta rivoluzione morale di azzerare le ideologie e cancellare la cultura dei partiti, che invece andavano difesi, preservati, semmai rivoluzionati e catapultati nel futuro. Hanno esultato alla morte di sigle e simboli illudendosi così di spazzare via la corruzione e il malaffare che invece sono rinati come una fenice.
Un quarto di secolo dopo ci accorgiamo che non solo non è servito a nulla demonizzare i partiti, ma che sulle poltrone non siedono più soltanto i corrotti, ma i corrotti-impreparati. Molti dei quali a sinistra. Il che è molto peggio. Qualche gradino più in basso, appunto. L’era post-ideologica è fallita miseramente e adesso che siamo nelle sabbie mobili dell’ostilità e dell’estremismo ultrà, sembra non esserci più né la forza né la voglia di reagire. La sinistra e il suo popolo assonnato hanno accettato di abolire il confronto. Hanno accettato che fossero calpestate le idee degli altri. Che la condivisione diventasse un traguardo impossibile. Hanno abbandonato le riflessioni e le discussioni, si sono arresi ai fomentatori d’odio e ai costruttori di realtà inesistenti. Hanno elevato a concetti ideologici le discussioni ruspanti e colorite da bar. Hanno scelto di lasciare il campo, vergognandosi persino di rivendicare quei valori di sinistra, contribuendo a portare il Paese a sbattere senza prendersi le responsabilità del disastro. E ancora oggi, in quella che passerà alla storia come una continua, estenuante e patetica scissione, in ogni cortile della sinistra si continua a sguazzare nelle beghe e nelle invidie, a dividersi dietro una classe dirigente riciclata e inadeguata, incapace di anteporre gli interessi della collettività ai propri. Forse i peggiori tra i peggiori. Qualsiasi progetto di rilancio è fallito, dal compromesso storico 2.0, ai satelliti rossi legati a improbabili leader dello «zerovirgola».
È fallita la riproposizione di qualsiasi iniziativa riformista, finora ha sempre vinto il compromesso e la logica delle correnti. E fallirà inevitabilmente anche il rilancio del Pd post-Renzi, semmai ci sia stato davvero. Anzi, persino il buon risultato delle Europee, dopo la catastrofe delle Politiche, si spegnerà come un cerino visto che ancora oggi non c’è stata una ricostruzione seria, un rilancio affidato alle nuove generazioni, un’analisi seria degli eventi e delle responsabilità. Paradossalmente, il governo grilloleghista potrebbe essere l’ultima chance per la sinistra e il suo popolo in sonno. A patto che si batta un colpo. A patto che si ricominci da zero. A patto che qualcuno accetti di rilanciare il confronto sui temi seri che determineranno il nostro futuro.