Francesco Dinacci è il coordinatore Metropolitano di Articolo 1. Nel dibattito aperto da Metropolis sul ruolo della sinistra e sulle colpe dei partiti che negli anni si sono fatti stritolare da sovranisti e populisti interviene puntando l’accento forte sulle responsabilità del principale partito riformista.
Dinacci, una sinistra che rantola: la colpa di chi è?
«Facciamo una premessa: secondo me la riflessione che ha portato avanti il Direttore di Metropolis è interessante perché il tema che abbiamo di fronte e su cui non si è riflettuto abbastanza è proprio il fatto che la sinistra non abbia fatto fino in fondo i conti con la sconfitta del 4 marzo delle Politiche».
E perché questo tema è così importante secondo lei?
«Perché da lì, e senza le opportune riflessioni, si è continuato in una serie di errori che l’hanno portata in una situazione marginale per l’opinione pubblica. Quando dico la sinistra a cominciare dal Pd significa che non si è fatta un’analisi delle ragioni politiche che hanno consentito l’abbandono e il disincanto di parte dell’elettorato democratico e progressista verso le formazioni politiche del centrosinistra».
Una colpa che, mi sembra di capire, appartiene soprattutto al Pd?
«Guardi, è un tema che rimanda alle scelte sbagliate fatte dai Dem. Senza appesantire giudizi sul passato, ma non c’è dubbio che alcune scelte come Buona Scuola, Jobs act hanno rappresentato elementi di cesura con questo tipo di elettorato, oltre una modalità arrogante di approccio ai problemi dell’Italia. Un racconto che non vedeva le sofferenze, anzi si faceva una narrazione che, proprio perché distante dai problemi, è apparsa lontana dalla volontà dei cittadini di riscattare le condizioni di vita».
Un errore chiarito secondo lei? O un errore nel quale la sinistra ricasca?
«Ci ricasca. E le spiego perché: è la stessa risposta con cui oggi il Pd guarda e ha guardato alla misura del reddito di cittadinanza. Misura che contraddistingue insieme a quota 100 l’esperienza di questo governo. Il Pd ha detto che si dà un sussidio indiscriminato ai più deboli. Recentemente, in maniera ancora più sprezzante è intervenuto anche Renzi. Eppure questa misura, come dimostrano le dinamiche elettorali, prevalentemente nel Mezzogiorno, ma non solo, ha espresso l’esigenza di protezione rispetto a povertà e mancanza di lavoro, che rendono necessarie una misura di contrasto, che non può essere solo il Rei di Gentiloni. Quando rispetto a una domanda così larga, che testimonia un disagio, un problema, si risponde con ironia o derisione, c’è il segno di una delle colpe».
Diciamo che il Pd ha le sue colpe. Ma la balcanizzazione della sinistra non l’ha certo prodotta solo il Pd. Dov’è il mea culpa di quei partiti e partitini che di fatto hanno distrutto un consenso?
«Il primo tema che abbiamo di fronte come sinistra larga è raccogliere l’esigenza di unità dell’elettorato. Per la precisione, il tema della crisi e della colpe della sinistra non è solo nazionale, ma è alimentato da una destra nazionalista e populista che crea questo corto circuito anche nella sinistra stessa».
A cosa si riferisce?
«Credo sia mancata al pensiero progressista una lettura critica della globalizzazione. Ceti deboli ed operai hanno interpretato questa esigenza, i partiti di sinistra no. Il tema non è rimettere insieme i cocci di ceti politici. Ma per costruire alternativa unitaria e plurale occorre ripensare la società anche nelle fondamenta. E ripensarla significa che la sinistra deve fare il suo mestiere. Difendere dignità del lavoro, difendere sanità e scuola pubblica, rilanciare anche la questione meridionale che emerge con la sua crudezza nell’autonomia differenziata. È imbarazzante questa rappresentazione del campo del centrosinistra con Pd al 18% e tanti piccoli partiti che non hanno seguito».
Non è solo un tema numerico secondo lei?
«I voti delle politiche e quelli delle Europee confermano il dato che la composizione sociologica di chi si rivolge alle formazioni del centrosinistra prende voti nel centro politicamente inteso. Ma se non capiamo che le domande di cambiamento sono più radicali, come dimostra l’affermazione dei grillini, allora la soluzione è insufficiente».
Vincenzo Lamberti