Torre del Greco. Due settimane di speranze. Quindici giorni per dare un senso a un calvario lungo sette anni e per provare a ribaltare numeri, fino a oggi, sconfortanti. è legato alle decisioni del tribunale dei diritti dell’uomo di Strasburgo – il primo round in aula è in programma il prossimo 10 settembre – il sogno delle 13.000 vittime del crac della Deiulemar compagnia di navigazione di vedere gratificati i sacrifici e le battaglie portate avanti a partire dal 2 maggio 2012, quando il tribunale di Torre Annunziata decretò il fallimento dell’ex colosso economico di via Tironi. I giudici della corte europea, infatti, dovranno scrivere la parola fine al braccio di ferro relativo al tesoro conteso sull’asse Malta-Italia. Ovvero, i 363 milioni di euro sequestrati a Bank of Valletta perché ritenuti riconducibili agli armatori-vampiri della cosiddetta «Parmalat del mare»: in caso di conferma dei precedenti verdetti, le vittime del «grande crac» all’ombra del Vesuvio potrebbero arrivare a recuperare fino al 40% delle somme investite nell’ex banca privata di Torre del Greco. Altrimenti, al danno di sette anni da incubo, si potrebbe aggiungere la beffa di un ristoro decisamente inferiore alla media dei recuperi per i fallimenti in Italia.
Il quinto riparto
In autunno – come confermato dalle note ufficiali diramate dalle curatele di società di fatto e Dcn – arriverà il quinto riparto per gli ex obbligazionisti della Deiulemar compagnia di navigazione: circa 27 milioni di euro e spiccioli – la somma dei 26 milioni di euro «svincolati» dalla condanna definitiva degli armatori-vampiri e del milione e duecentomila euro già precedentemente in cassa – pari al 3,12% dei risparmi «affondati» insieme alla compagnia armatoriale. Si tratta del «massimo ristoro» riconosciuto all’esercito di risparmiatori, a oggi arrivati a mettere le mani solo sulle briciole dei propri investimenti. Quando saranno consegnati gli assegni, le vittime degli armatori-vampiri avranno recuperato complessivamente il 6,62% dei propri soldi.
Sotto la media nazionale
Una percentuale nient’affatto rassicurante e soddisfacente, dopo sette anni di attesa. La media nazionale dei recuperi fallimentari, infatti, si aggira tra il 12% e il 15% per procedure lunghe fino a 12 anni. «Ulteriori beni saranno venduti restano in corso una serie di cause che magari, domani, porteranno a ulteriori recuperi dei nostri risparmi», la ventata d’ottimismo di qualche legale in passato assoldato come «consulente» delle curatele fallimentari. Fumo negli occhi degli obbligazionisti, perché – numeri alla mano – alla fine della giostra, senza i soldi di Bank of Valletta – il risarcimento complessivo potrebbe non superare il 10%, restando così decisamente sotto la media nazionale. Di qui, l’importanza della battaglia legale da 363 milioni di euro contro l’istituto di credito di Malta.
Il rimpianto del 2013
Uno scenario capace di fare nascere qualche «rimpianto» tra qualche obbligazionista con la memoria lunga. Perché prima del via alla sfilza di processi e battaglie legali, gli armatori-vampiri si erano seduti al tavolo delle trattative per provare a raggiungere un accordo con il popolo dei truffati: già prima della dichiarazione di fallimento era stata presentata una proposta-capestro di concordato – 5% in contanti e 20% in azioni di una Newco destinata a ereditare la flotta della Deiulemar compagnia di navigazione – subito respinta al mittente, ma la vera offerta arrivò a maggio del 2013, prima del crac della società di fatto. Per difendere i patrimoni personali, gli armatori-vampiri arrivarono a offrire la bellezza di 170 milioni di euro per «liquidare» i risparmiatori in cambio della rinuncia alla costituzione di parte civile nel processo penale e alla guerra sulla società di fatto. In pratica, il 20% del maltolto a soli 12 mesi dal dramma. Un’ipotesi davanti a cui l’esercito dei truffati alzò un vero e proprio muro, con la convinzione di potere recuperare tutti i propri soldi. Una convinzione, a 7 anni di distanza, smentita dai fatti. E senza i soldi di Bank of Valletta al danno si potrebbe aggiungere un’ulteriore beffa.
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