Chiamiamolo “big Bang”. O Armageddon. O punto zero. Di certo, il M5S del post Luigi Di Maio naviga nel caos. La reggenza di Vito Crimi, uomo della vecchia guardia, vicino al Garante Beppe Grillo ma anche all’ala casaleggiana, in qualche modo rassicura lo stato maggiore del Movimento. Ma il rischio è che, da qui agli Stati Generali, si generi un tutti contro tutti che la presenza di Di Maio, in qualche modo, concentrava su di se. La “battaglia” avrà luogo a marzo e sarà, per la prima volta nella storia del M5S, una battaglia congressuale, con mozioni contrapposte e una forza politica potenzialmente scalabile. E c’è chi non nasconde l’ipotesi che Di Maio torni subito in campo. Il tema, però, non è “chi” guiderà il Movimento ma “dove” andrà il Movimento. E’ qui che si concentra il grande scontro interno. Tra chi preme per un’alleanza semi-organica al Pd e chi, come sostiene lo stesso Di Maio, vuole un Movimento che sia alternativa al centrodestra e al centrosinistra. E’ una linea, quest’ultima, che vede peraltro da tempo in trincea Alessandro Di Battista, il cui futuro è tutto da decifrare. E chissà che, al ritorno dall’Iran, il “Dibba” non decida di metterci la faccia e correre per la leadership. Il grande bivio, per il M5S, avverrà tuttavia già prima di marzo. Il campo di battaglia è la Campania, dove le visioni dei due big locali, Di Maio e Fico, divergono nettamente. In una riunione tenutasi nelle scorse ore tra gli eletti campani – e alla quale avrebbe partecipato anche il presidente della Camera – il dilemma è venuto fuori e a prevalere sembra sia stata l’apertura al Pd. Un documento potrebbe certificarla presto. Il tema è se con Vincenzo De Luca candidato o senza. Con un’appendice: nel primo caso la base andrebbe in ebollizione. Più accettata sarebbe una figura terza, condivisa tra Pd e M5S. Magari Sergio Costa, attuale ministro dell’Ambiente. Agli Stati Generali si detteranno le regole del gioco. Non ci sarà nessuna elezione. Anche perché c’è un altro bivio che attanaglia il futuro del M5S: se la leadership debba essere collegiale o singola. Con la prima opzione sostenuta dagli ortodossi. Di Maio, come ha già chiarito a tutti, non sparirà dai radar del Movimento. Il suo discorso, di lunghezza castrista e pieno di sassolini lanciati ai nemici interni, non era una resa. E il suo riferimento ai sindaci non è stato casuale: voci insistenti nei corridoi parlamentari indicano in Chiara Appendino il possibile futuro. In ticket o da sola. Di certo sponsorizzata dall’ex capo politico. Capo politico che, raccontano i suoi, ha vissuto le ore dell’addio serenamente. Di Maio aveva deciso di lasciare più di un mese fa. Ha atteso il compimento della riforma dei facilitatori, nelle scorse ore ha parlato con Grillo e ha visto a Roma Davide Casaleggio e ha deciso di dire “basta” a quattro giorni dalle Regionali, in merito alle quali il ministro degli Esteri è sempre stato contrario ad una discesa in campo del M5S. Il suo addio era atteso ma ha spiazzato i parlamentari. Anche se, più di un fedelissimo dell’ex leader, nel pomeriggio sottolineava il ghigno che, dietro l’applauso d’ordinanza nascondevano eletti e pure qualche ministro. Tanto che un senatore della vecchia guardia non nasconde che, a suo parere, il vero tradimento al leader è stato messo in atto proprio da chi gli era più vicino. E’ in questo contesto che il M5S dovrà ricostruirsi. Grillo lo sa. Ha accolto l’addio di Di Maio nel silenzio assoluto, sintomo non di freddezza ma di preoccupazione. I rapporti tra il Garante e Di Maio si erano deteriorati ma Grillo non ha mai abdicato da due convinzioni: la leadership unica è meglio di quella collegiale e, finora, un nuovo Di Maio non si vede all’orizzonte.
politica
22 gennaio 2020
Il M5S al suo “big bang”, il nodo è alleanza con Pd. Bivio già in Campania