«Quella ci aspetta non sarà affatto una Pasqua di serie B, ma un’occasione spirituale da non perdere per riscoprire le nostre radici e dare il via ad un nuovo umanesimo». Don Doriano Vincenzo De Luca, prelato della Cappella del Tesoro di San Gennaro, nonché parroco dell’Immacolata Concezione a Secondigliano e vicedirettore del settimanale diocesano “Nuova Stagione”, è ben consapevole che le misure restrittive adottate dalle autorità pubbliche per limitare il contagio da Covid.19 – accettate di buon grado dalle autorità ecclesiastiche – hanno provocato malumori diffusi.Eppure, secondo il suo punto di vista, anche le limitazioni vigenti, possono trasformarsi in una straordinaria opportunità di crescita.
Don Doriano, ci avviciniamo a una Settimana Santa molto particolare. Con i pastori di anime costretti a celebrazioni senza popolo. Che Pasqua sarà quella del 2020?
«Come cattolici abbiamo una grande responsabilità che proviene dalla dimensione del bene come. In questo caso il bene comune è la salute pubblica e, quindi, pur nell’amarezza e nel sacrificio che ne deriva, dobbiamo aderire pienamente alle decisioni delle autorità».
Come la mettiamo con le polemiche scoppiate negli ultimi giorni?
«Sono inutili e pretestuose. Papa Francesco, nell’Angelus di domenica scorsa, dopo averci invitato alla preghiera, ci ha detto che dobbiamo seguire quello che il governo ci chiede perché è l’unico modo per evitare il contagio. Tutti vorremmo celebrare la Pasqua come l’abbiamo sempre fatta, ma stavolta non è possibile. Questo non significa che ci apprestiamo a vivere una Pasqua di serie B».
In che senso?
«Perché, come negli altri anni, l’intervento di Dio passa, comunque, attraverso l’azione santificante dei sacerdoti, in particolare di vescovi e parroci, che in tutte le comunità non faranno mancare quello che è il Triduo Pasquale. Questo significa che l’azione santificante e la grazia di Dio arriveranno sul popolo, a prescindere dal fatto che i fedeli non prenderanno parte fisicamente alle celebrazioni o lo faranno attraverso la trasmissione televisiva o in streaming. C’è, però, un altro aspetto che vorrei evidenziare».
Quale?
«Quello spirituale. In tutta franchezza a me viene in mente l’instabilità con cui, nell’Antico Testamento, il popolo d’Israele ha celebrato la Pasqua per 40 anni nel deserto, prima di arrivare nella Terra promessa. Noi che siamo chiamati a vivere questi giorni in un clima certamente particolare dobbiamo cominciare a ragionare in questa logica».
Si tratta, forse, di una prova?
«Più che di una prova, si tratta di un’opportunità. Come Dio ha parlato agli ebrei in quelle condizioni di grande precarietà, così si rivolge a noi oggi. E, magari, ci chiede di dare un peso diverso alle relazioni, di comprendere il valore della vita, di anteporre il bene collettivo agli interessi di parte, di rivedere le relazioni economiche tra gli Stati. Finita tutta questa storia dovremo porci seriamente il problema della individuazione di un nuovo modello di economia. Non sono un economista, anzi mi considero una persona molto equilibrata e misurata, ma le cose che, di recente, l’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha dichiarato alla stampa le ho anticipato in qualche conversazione amichevole. C’è bisogno di misure economiche (maggiore liquidità, crescita del debito pubblico) per uscire dalla crisi secondo i parametri che gli Stati concorderanno tra di loro. Forse Dio ci chiede proprio questo…».
Cioè?
«Se noi crediamo in un Dio incarnato, dobbiamo accettare che Dio si fa uomo per entrare storia e nelle vicende umane e, dal di dentro, ci chiede di cambiare questa umanità che si è persa dietro un eccessivo tecnicismo o che ha riposto troppa fiducia nei confronti di cose che allontanano gli uomini tra di loro e da Dio».