Il coronavirus ha reso drammatico il lavoro dei camici bianchi in corsia, e c’è una realtà parallela fatta di ricercatori impegnati con la stessa passione nella disperata corsa contro il tempo per sconfiggere il nemico invisibile.Il loro è uno studio certosino che spessa resta nel silenzio, nonostante i grandi risultati legati alle scoperte scientifiche utili a salvare la vita e l’ambiente.Davanti ai microscopi c’è anche Mariacira Gentile, giovane ricercatrice di 28 anni, al lavoro nel laboratorio di famiglia a Gragnano, sotto la supervisione del responsabile scientifico, Salvatore Raimondo.«E’ strano che i media si interessino a noi, di solito facciamo il lavoro dietro le quinte. Quindi grazie per aver dato voce a noi biologi attivamente operativi in tante fasi di questa emergenza».
Una curiosità, è arrivato anche sul suo smartphone il servizio del Tg3 Leonardo che da giorni rimbalza da una chat all’altra?
«Ciò che ha divulgato Leonardo nel 2015 è una ricerca scientifica che in questi giorni è stato utilizzata da politici e social in maniera strumentale e distorta, provando a far passare per buona la teoria della diffusione di un virus creato in laboratorio. In realtà tutte le riviste scientifiche ed eminenti virologi hanno detto e provato che il Covid19 è un virus naturale e non può essere il prodotto di uno studio condotto in laboratorio. Dunque, direi di smetterla con le fake news, e con la spasmodica corsa alle notizie sensazionalistiche. Non si può giocare con la preoccupazione della gente, soprattutto non in questo momento».
A proposito di fake, fin dall’inizio s’è parlato del covid-19 come di una influenza. Poi l’emergenza di ha travolto.
«In realtà è un’influenza, e non è detto che un’influenza sia qualcosa di poco conto. Era un’influenza la Spagnola che ha fatto milioni di morti nei primi anni del Novecento, ed era un’influenza l’aviaria nel 2006, che ha fatto comunque decine di migliaia di morti. Nel caso dell’influenza da Covid-19 l’aggravante è dovuta alla particolare virulenza del virus, alla capacità di contagio e agli effetti polmonari. Il fatto che c’è un tasso di mortalità così alto, come si è detto, è che i più esposti sono gli anziani, e noi siamo un Paese con un’età media abbastanza alta».
Qualcuno ipotizza mutazioni genetiche del coronavirus già in atto nelle zone maggiormente colpite al Nord. E’ vero?
«Una caratteristica peculiare dei virus è proprio quella di mutare velocemente il proprio materiale genetico, la sua evoluzione può essere innattivante o potrebbe diventare più aggressivo. Al nord c’è stata una combinazione di fattori che ha portato a una maggiore diffusione e mortalità del virus. Nelle zone di Bergamo e Brescia esiste un alto tasso di inquinamento industriale che ha causato complicazioni a livello polmonare».
Ormai abbiamo imparato anche com’è fatto il Covid, sappiamo cosa provoca e quanto sia pericoloso, ora attendiamo che arrivino le armi per combatterlo.
«Ogni vaccino ha i suoi tempi, e i tempi dipendono sempre dal comportamento del virus. Detto in soldoni, si individua un tratto genetico del virus stabile, cioè che non muti, si inattiva e poi si procede con la sperimentazione».
Quanto tempo ci vorrà per arrivare a un vaccino anti-covid?
«Ci sarà bisogno ancora di tempo. Diciamo 12 o al massimo 18 mesi».
E considerando la difficoltà di mettere in piedi la controffensiva, forse anche l’Italia capirà quanto importante sia investire sulla ricerca?
«Qui tocchiamo una nota dolente perché purtroppo i fondi per la ricerca sono sempre di meno ma come si vede in questi casi di emergenza, la ricerca è fondamentale. Sopratutto la ricerca deve essere continua e non on demand».
Intanto, in attesa del virus, i protocolli e le cure sperimentali utilizzate in diversi ospedali sembrano dare delle risposte positive?
«In generale vengono utilizzate due strategie terapeutiche, la prima riguarda la riduzione del processo infiammatorio a livello polmonare, messa a punto all’ospedale Cotugno di Napoli, l’altra invece è la somministrazione di antivirali che rallentano la replicazione del virus e danno tempo all’organismo di poter reagire con le proprie difese immunitarie».
Facciamo un balzo al dopo Covid, e facciamo conto di ripartire dall’unico aspetto positivo di questa emergenza: la terra ha ripreso a respirare approfittando dello stop di tutte le attività produttive. Come sfruttare questa congiuntura favorevole per migliorare la nostra qualità della vita?
«Questo aspetto ambientale potrebbe essere proprio il punto dal quale ripartiure e sul quale ricostruire un nuovo modello produttivo. Noi abbiamo studiato a fondo i bioindicatori ambientali, attualmente siamo riusciti a individuare un biomarcatore anche al femminile individuando nella donna l’antigene prostatico specifico (Psa) come indicatore della relazione impatto ambientale-salute. I dati preliminari di questo studio sarebbero dovuti essere presentati a Copenaghen, ma tutto è stato annullato per pandemia. Dopo l’emergenza avremo un’opportunità storica, dobbiamo sfruttarla».