In Campania il tasso di lavoro nero è stimato al 20% a fronte di un 13,1% di media italiana. Su un milione e ottocentomila lavoratori nella regione, dunque, lavorano in modo irregolare circa 360.000 persone.
I dati sono quelli dell’Istat relativi al 2018, disponibili nello studio dell’Istituto sul sommerso, che fa parte del pil italiano anche se irregolare. Li illustra Delio Miotti, dirigente di ricerca dello Svimez. “Il lavoro nero – spiega Miotti – è uno degli indicatori studiati dall’Istat che stima anche il lavoro nero al di là della sua irregolarità, perché fa parte dell’economia sommersa che viene compresa nel Pil e che viene stimata intorno al 15% del totale. La Campania è una di quelle regioni che ha i dati più alti, in particolare in alcuni settori, come l’agricoltura e le costruzioni”. Nei campi la percentuale di lavoratori a nero è infatti stimata per la Campania al 33,4%, mentre nell’edilizia è al 30%.
Più basso, ma sempre maggiore della media nazionale, il tasso nei servizi che è al 19,4% mentre nel settore manifatturiero è intorno al 13%. “L’agricoltura – spiega Miotti – ha una forte componente di irregolarità che nasce anche da aspetti di carattere definitorio sulle ore dei braccianti. Anche a livello nazionale la media è alta, siamo al 23,8%, mentre nell’edilizia è al 16%, nei servizi al 14% e nella manifattura al 6,6%”. Una platea enorme che al momento è esclusa da ogni forma di tutela del Cura Italia, non può avere accesso alla cassa integrazione né verrà pagata dai datori di lavoro per quelle attività che sono ferme. Una larga fetta di chi lavora a nero prende però il reddito di cittadinanza che integrava con il lavoro. I settori più colpiti sono i servizi, intesi come lavoratori a nero in commercio, turismo, ristorazione, artigianato, camerieri, ma anche ad esempio le shampiste.
“Non si tratta di grandi evasori – spiega Miotti – ma di lavoratori considerati marginali in un mercato del lavoro segmentato e attribuibile alla fragilità del nostro sistema economico. E poi bisogna pensare agli immigrati che lavoravano a nero e che non hanno hanno neanche il reddito di cittadinanza”. Per loro la situazione sarà ancora più drammatica. Il reddito di cittadinanza, in questo momento, spiega il presidente della Svimez Adriano Giannola “è una rete di salvezza e si spera che poi passata l’epidemia riesca anche a centrare l’obiettivo sulle politiche attive del lavoro.
Il reddito avrà di certo mitigato il problema in questo momento. Il suo pregio è che si tratta di una misura universalistica, ma resta il suo difetto di essere un finanziamento della povertà: l’equivoco resta ma in questo momento è utile”.