Nino Femiani*
Niente sarà più come prima. E’ il ritornello che da mesi si ascolta nelle conversazioni pubbliche e private. Niente sarà più come prima nella nostra vita quotidiana e nelle scelte economiche, nelle relazioni sociali e nell’etica dei comportamenti pubblici. Ma niente sarà più come prima anche nella vita politica in Campania. Se si guarda quello che è avvenuto in meno di tre mesi, ci si rende conto di quanto le cose siano cambiate. Di come sul palcoscenico abbiano fatto irruzione altri soggetti (i medici, i ricercatori, gli uomini della protezione civile), mentre quelli di prima sono rimasti sfocati sullo sfondo della scena.
In Campania, come in gran parte delle altre Regioni, un’intera classe politica sembra essere stata archiviata, i suoi rapporti di mediazione amicali-clientelari-affaristici affievoliti fino all’inesistenza, travolti dalla quarantena familiare e dall’attenzione che i cittadini campani oggi rivolgono alla voce di altri soggetti. E’ come se un’esplosione avesse devastato il Campidoglio locale e la vecchia politica ne fosse uscita a brandelli. Il coronavirus in politica è stato come uno sbarramento artificiale che separa due specchi d’acqua che fino ad allora si trovavano a differente livello. Ora quella chiusa impedisce alla vecchia politica di navigare, prigioniera in una pozza d’acqua che si va pian piano prosciugando. E i nuovi, che si trovano al di là della chiusa, stanno solcando le acque fino al mare aperto.
E’ così anche in Campania. Tolto il Governatore De Luca, che appare agli occhi dei suoi conterranei come un Coppi che s’invola sull’Izoard in una cavalcata solitaria (ma bisognerà capire se avrà ancora fiato dopo lo scollinamento), della vecchia politica non restano che voci aliene nelle dirette Facebook, oggetto di culto di sparuti followers. La gran parte resta silente, alimentando il vuoto.
Certo anche il vuoto non è privo di materia, come dimostrò Torricelli, ma in politica il vuoto viene riempito presto, prestissimo. Sono i sindaci i nuovi soggetti che irrompono sulla scena e con i quali bisognerà fare i conti quando il lockdown sarà terminato. Sono loro che, in questi giorni di passione, hanno messo la faccia, sono stati i cavalieri che hanno infranto le vecchie signorie e riorganizzato il mondo politico campano.
In cinquecento hanno rappresentato quello che furono nel dodicesimo secolo i templari: monaci e combattenti. La loro missione era difendere i luoghi sacri ai cristiani e le strade della Terra Santa percorse dai pellegrini. Così i sindaci della Campania sono apparsi, in una terra insidiata dal virus fellone, come i difensori delle loro comunità, preoccupandosi di assolvere ai loro bisogni più elementari, dal cibo alle mascherine.
Quando tutto questo sarà finito, non torneranno nel loro convento-Comune. Non torneranno in panchina. Saranno loro i protagonisti della Fase 3, quella della ricostruzione. Ha ragione il Presidente di Anci Campania, Carlo Marino, quando pensa che intorno ai sindaci dovrà costruirsi la ‘Nuova Campania’.Ma per fare questo occorrono tre premesse.1) Un piano di investimenti vero. Non sulla carta, con centinaia di nuovi cantieri che abbiano come ‘mantra’ la semplificazione. 2) C’è bisogno di nuovi poteri.
Bisogna prevedere la nomina dei sindaci dei territori omogenie a commissari per l’esecuzione delle opere pubbliche più importanti, sul modello adottato a Genova per la ricostruzione del ponte Morandi. Ha ragione Marino: non è solo una richiesta di nuovi poteri speciali, né la replica di un archetipo istituzionale che altrove ha ben funzionato. E’ la convinzione, invece, che una comunità intera si possa riconoscere in un progetto e nel suo sindaco, in nome del bene comune e con l’orgoglio di stringersi a una leadership che ha dimostrato, nel corso di questa pandemia, determinazione e senso civico.3) L’avvio di una nuova stagione di assunzioni.
Attualmente il livello dei servizi pubblici offerti in Campania a cittadini e imprese risente di un grave impoverimento delle risorse umane, determinato negli ultimi dieci anni dal blocco del turn over nei Comuni e dalla mancata attenzione al tema della formazione e delle competenze dei dipendenti pubblici. Anche il Cnel, nella sua “Relazione 2019 sui livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Pubbliche amministrazioni centrali e locali a imprese e cittadini”, poneva l’accento sul tema delle nuove leve che, grazie allo sblocco del turn over e ai nuovi concorsi pubblici, entreranno nei Comuni.
Non c’è dubbio: negli enti locali c’è bisogno di una stagione di assunzioni, di una nuova leva di assunti, che siano il punto di svolta per l’innovazione e lo sviluppo digitale dei Comuni. Occorre un rilancio concorsuale per reclutare giovani meritevoli, dando spazio a profili innovativi che possano accompagnare i Comuni sul cammino ormai imprescindibile della digitalizzazione. I sindaci sono una nuova classe dirigente, aperta e tollerante, abituata alla politica del fare, forgiata dall’emergenza, pronta a subentrare e a mettere in moto cambiamenti profondi.
Una rivoluzione autonomista che fa perno sul sentire collettivo, sul senso civico della gente, mai così forte come in queste settimane, e su nuove gerarchie dello sviluppo regionale. I sindaci della Campania sono gli unici che possono oggi dire: ‘noi siamo le città, noi siamo la regione’. Da questo bisogna ripartire.
(*Giornalista)