«Abbiamo riconvertito parte della nostra produzione, affiancandola a quella delle mascherine. Abbiamo avuto le certificazioni per realizzarle, venderle e distribuirle. E’ stata una sfida di ottimismo e per la ripartenza della nostra impresa. Pensi che abbiamo 9 dipendenti, in 5 sono in cassa integrazione. E, al momento, nessuno ha ricevuto un euro dalle banche o dallo Stato.
La cassa integrazione gliela stiamo anticipando noi». Una piccola ma storica azienda di Trecase, la Dimaioflex di Parco Ruggiero, pur di ripartire e sopravvivere, anzi rilanciarsi sul mercato, ha scelto la riconversione. «Produciamo materassi da quattro generazioni », spiega il giovane direttore delle vendite e della comunicazione, il 35enne Giovanni Di Maio. «Siamo rimasti chiusi dall’11 marzo al 4 maggio scorsi. Per tornare sul mercato, finito il lockdown ma data ancora la penuria di mascherine per i volontari, le forze dell’ordine, ora anche per i nostri bambini, abbiamo scelto di iniziare a produrle». Una sfida che, visti gli ordini in arrivo da circa due settimane per mascherine ora a “uso civile”, ha già pagato. «Stiamo ricevendo tantissime richieste», prosegue infatti Giovanni, figlio di Gennaro Di Maio e nipote di Mimmo, i due amministratori della società che oggi punta alla parziale riconversione «ci arrivano dai bar, dai ristoranti, dalle palestre. Poi dalle famiglie. Quasi tutti, con l’arrivo dell’estate, vogliono delle mascherine fresche e traspiranti. Quelle consegnate dalla Regione Campania o quelle chirurgiche, ad agosto, una volte indossate quasi toglierebbero il respiro.
Le nostre sono più leggere». Il tessuto scelto dalla Dimaioflex è meno ingombrante, lavabile, sottoposto inoltre a uno speciale trattamento anti-goccia. «In questo modo, l’acqua e il sudore scivolano via dalle mascherine. Che, non è un piccolo dettaglio, possono essere utilizzate fino a dieci volte e sono personalizzabili. Abbiamo pensato soprattutto ai bambini. Le nostre mascherine hanno le stelle o i pupazzetti». La sfida dell’azienda di Trecase è partita in piena pandemia. Era il 6 aprile: mascherine introvabili in città.
Il sindaco, Raffaele De Luca, chiede allora aiuto alla Dimaioflex. Detto, fatto: 300 mascherine vengono donate ai volontari della Protezione Civile, che le distribuiscono alle famiglie. «È stato solo un piccolo gesto che sentivamo di fare alla nostra comunità», commenta oggi Giovanni Di Maio. L’azienda, però, ci ha preso gusto. E adesso, costretta anche dalla crisi che sta stritolando decine di migliaia di imprenditori, prova a rilanciarsi. «Pure grazie a questa nuova produzione», prosegue il giovane direttore del comparto vendite «siamo riusciti a richiamare al lavoro 4 dei nostri 9 dipendenti. Gli altri 5 sono in cassa integrazione e non hanno ancora ricevuto nulla.
Noi, comunque, li riassorbiremo. Al momento, siamo noi ad anticipare la Cig». Ogni giorno, in Italia si allunga l’elenco delle aziende che hanno deciso di riconvertire la propria produzione per rispondere alla crescente domanda di mascherine, tute anti-contagio, ventilatori polmonari, gel disinfettanti. Il decreto legge “Cura Italia” approvato dal Governo prevede due soluzioni: da una parte stanzia 50 milioni di euro che saranno gestiti da Invitalia da erogare alle aziende, sotto forma di finanziamenti agevolati o a fondo perduto, che produrranno mascherine. Dall’altra prevede la possibilità di produrre quelle chirurgiche in deroga alle norme vigenti. Sono a oggi 102 le imprese in totale ammesse agli incentivi del Curaitalia: 65 progetti provengono da imprese che hanno deciso di riconvertire gli stabilimenti e 37 prevedono ampliamenti dei siti produttivi.