Nicola Ricci*
Segretario regionale CgilIl 20 maggio 1970 il Parlamento italiano approvò lo Statuto dei lavoratori: un provvedimento che oggi, a distanza di 50 anni, rappresenta ancora uno degli importanti riferimenti nella difesa dei diritti dei lavoratori. La legge nacque in un contesto di forte mobilitazione e di richiesta di cambiamento che non riguardava solo i lavoratori, ma risentiva, profondamente, dell’azione messa in campo da Giuseppe Di Vittorio per “portare la Costituzione nelle fabbriche” e del famoso impatto che ebbe il Sessantotto. Oggi, però, in molti e in primis la Cgil ritiene che vada riformata quella legge. La Cgil già nel 2016 consegnò al Parlamento 1 milione e 150 mila firme per una proposta di legge per il varo di una Carta dei Diritti universali del lavoro e ne raccolse altre 2 milioni e 500 mila per indire i referendum per cambiare la legislazione sul lavoro. Un’azione sindacale mai registrata in Italia che la Cgil mise in campo insieme a un gruppo di giuristi per consegnare al Paese un nuovo Statuto di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori in ragione dei cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro segnato negli anni dall’incremento di molte disuguaglianze, discriminazioni e divisioni. L’emergenza Covid ha accelerato questa necessità di cambiamento. Debellata la pandemia non tutto sarà come prima, anche per il mondo del lavoro e il sistema delle imprese, senza la possibilità di tornare indietro. Basta vedere cosa sta avvenendo e quale discussione anche istituzionale si è aperta sulla Fase 2 e sulla necessità della ripresa totale. In funzione della tutela della salute è già cambiato il modo di lavorare e quello di andare al lavoro. È già in atto il confronto sul nuovo modello sociale e di sviluppo delle dinamiche economiche. Pensiamo, allora, che il mondo delle tutele e delle rappresentanze del Lavoro possano mai essere fuori da questi cambiamenti? Va aperta una fase per preparare il Paese a un nuovo Statuto dei Diritti.
Un sindacato moderno, al quale guardano Cgil, Cisl e Uil deve puntare a un sistema di leggi e di rappresentanza dove non si può non rimettere al centro i diritti della persona e del lavoro tradizionale e innovativo, fisico e remoto. Dobbiamo proporre, nell’anniversario dei 50 anni della legge 300, un nuovo Statuto che debba innovare gli strumenti contrattuali garantendo diritti fondamentali riconosciuti ed estesi a tutti, nel privato e nel pubblico, ai precari e agli atipici in tutte le varie forme, al lavoro autonomo. Sia ben chiaro, ed è bene ribadirlo, che il licenziamento e il reintegro nel posto di lavoro sono ancora baluardi non ideologici, ma una costante difesa nell’azione di tutela e di azione del movimento sindacale. Il sindacato già è in piena e concreta riflessione sul nuovo ruolo che dovrà ricoprire quando, entrati nell’era dell’economia digitale, si richiederà sempre di più la presenza di un soggetto di tutela in settori neo organizzati, capaci di lavorare per risultati più che in base al tempo utilizzato.
Lo smart-working, infine, diviene anch’esso una discussione iniziata anni fa e mai completata la cui attualità occorrerà, oggi, riprenderla a maggior ragione del fatto che una parte del mondo delle imprese pensa che le nuove modalità di attività debbano essere affrontate con “tradizionali” schemi di rapporto con i lavoratori. Per la Cgil ricordare, oggi, i 50 anni dello Statuto significa guardarne a un altro attento alle diseguaglianze nel mondo del lavoro, legato alle nuove forme, e che contrasti, come ha fatto negli anni, il lavoro sommerso. Ci dovranno essere nuove regole universali che non disperdano le tante esperienze vissute e la bellissima storia della legge 300.
(Segretario regionale Cgil)