Se il Brasile avesse segnato cinque gol, lui ne avrebbe fatti sei. Quando dici Paolo Rossi dici area di rigore, il centro del moto astrale della partita, il fine escatologico del bomber.Chiariamoci, Pablito non avrebbe mai potuto giocare in Sudamerica. Troppo europeo, troppo opportunista, troppo calcolatore, nonostante l’incoscienza latina. Eppure fu proprio lui a battere il Brasile più forte di sempre. E nessuno gliel’aveva chiesto. Anche se può sembrare matematica, con tutti quei moduli e formulari, l’interpretazione del ruolo dipende sempre dalla testa. Pablito faceva da sponda per poi crearsi micidiali linee di passaggio in profondità. E ciao. Con l’Italia dell’82 si è chiusa un’epopea inimitabile. Ripetibile sì – come nel 2006 – ma non imitabile. Se le canzoni dei Beatles hanno rivoluzionato la musica, gli azzurri hanno incasinato le regole della razionalità. Basta guardare la formazione: Rossi, Graziani e Conti in attacco, più Antognoni, Cabrini alto sulla sinistra e Tardelli mezzala. Scirea sapeva impostare l’azione già 40 anni fa e in pratica c’era solo Oriali a centrocampo. Sfido chiunque a trovare un assetto simile in serie A.Tuttavia nella prima fase di Spagna ‘82 gli azzurri avevano fatto ridere i polli. Dopo le miserabili prestazioni nel girone eliminatorio contro Camerun, Perù e Polonia, si qualificarono senza vincere una sola partita. Di Rossi non ne parliamo, zero reti e la stampa che inneggiava Pruzzo. Negli altri gironi la Francia di Michel Platini, la Germania di Karl Heinz Rummenigge, l’Argentina di Diego Armando Maradona e il Brasile di Artur Zico avevano camminato sugli avversari, rifilando valanghe di gol e accreditandosi per una sicura finale. Al secondo turno l’Italia viene inserita come sparring partner di Brasile e Argentina, le quali sono costrette ad affrontarsi in una sfida fratricida che termina 3-1 per i brasiliani. Quando tocca a noi scendere in campo contro Maradona la stampa non ci considera nemmeno uomini. I giornali italiani fanno sarcasmo, definendo Cabrini e Rossi due froci (sic), inabili ad affrontare picchiatori come Passarella, Gallego e Tarantini. Battiamo l’Argentina 2-1. A segnare è proprio Cabrini, che costringe i giornalisti a rimangiarsi gli articoli. Italia-Brasile è la finalina del mini girone, con una differenza: loro hanno segnato una rete in più e il pari gli basta. Il Brasile – secondo gli esperti – avrebbe dovuto ballare il samba sui nostri cadaveri. Il 5 luglio 1982, nello spiazzale dello stadio Sarrià di Barcellona, l’autobus giallo oro della selecao sembra un carro che sfila nel Sambodromo del carnevale di Rio, i calciatori cantano, bevono, mangiano e mandano baci alle donne. Il pullman degli italiani è un cimitero. Rimane in uno spigolo e ogni tanto procede a passo d’uomo sotto il controllo degli agenti di polizia. Intorno si scatena un delirio di maracas e sederi bollenti. Gli azzurri assistono alla cerimonia infernale e nessuno fiata. Tranne uno, Marco Tardelli, che ha un lampo di genio per motivare Collovati. “Fulvio, lo sai che tre anni fa Serginho ha sparato alla moglie?”. Tardelli ha visto giusto. Per battere un avversario più forte bisogna averne paura. E’ la legge dell’antieroe. L’eroe non è Mike Tyson che vince 19 gare consecutive per ko al primo round ma chi accetta di battersi contro.Fortunatamente il centravanti Serginho giocherà la sua peggiore partita, senza toccare mai il pallone. Anzi, ne svirgola uno a due metri da Zoff. Chiariamoci ancora: Serginho aveva i piedi al contrario e non c’entrava niente con il futebol bailado. Fu inserito nell’undici titolare a causa dell’infortunio di Careca e della sua stazza, che apriva varchi agli inserimenti dei centrocampisti. E’ una questione geometrica, tipo il tetris. Togli di qua e metti di là, ma se avanza uno spazio occhio a Falcao e Socrates che, guarda caso, ci rifilano due gol. Pablito ne fa tre. Se l’arbitro israeliano Abraham Klein non avesse annullato un gol di Antognoni per un inesistente fuorigioco a dieci minuti dalla fine gli azzurri avrebbero vinto 4-2. Il Brasile più forte di sempre vive un nuovo “maracanazo”. Narra la leggenda (falsa) che il portiere Valdir Peres finì in esilio come cameriere nei ristoranti ricchi di São Caetano do Sul, lontano dalla moglie e dai figli. L’allenatore Telè Santana, senza un briciolo di rimorso, negò di aver mai giocato quella partita. Tutti fecero finta di credergli, dandogli delle grosse pacche sulla spalla, perché il calcio non è uno sport. E’ come la musica. E’ uno stato d’incoscienza. Esistono gli svarioni, i lisci, i calci negli stinchi, le “stecche”, gli applausi degli spettatori, le minacce. Ma in tutti i casi c’è solo una cosa che conta: la voglia di infilare qualcosa nella testa della gente, che sia un ricordo, una melodia o una grande tripletta alla Pablito.
SPORT
11 dicembre 2020
Italia-Brasile 3-2, la sfida epica che incoronò “Pablito” Rossi