Da circa dieci anni il suo nome è al centro di inchieste e processi. Su di lui hanno indagato le Procure Antimafia di Napoli e Reggio Calabria. E’ imputato in sette diversi procedimenti. Deve rispondere di traffico di droga, spaccio ed estorsione aggravata. Dopo l’arresto di suo padre avrebbe raccolto lo scettro del comando. Guidando il clan assieme ai suoi fratelli.
E’ questo il ritratto di Antonio Di Martino che viene fuori dagli atti delle indagini che in questi anni hanno messo nel mirino l’erede di Leonardo ‘o lione. L’ex narcos inafferrabile è da tempo ritenuto un soggetto altamente pericoloso. Un uomo capace di tutto. Come quando, nel 2015, è riuscito a sfuggire all’arresto dribblando una volante della polizia stradale sull’autostrada A16. Per non farsi catturare Di Martino è arrivato a lanciarsi nel vuoto, da un cavalcavia, rimanendo miracolosamente illeso.
O come nel 2013, quando per scappare a un normale controllo dei carabinieri, ha deciso di rifilare una gomitata ad un militare dell’Arma per poi darsi alla fuga. E anche la latitanza è una esperienza che l’ex primula rossa della camorra, ha vissuto in prima persona. Lo dimostrano i 10 mesi da irreperibile trascorsi tra il 2012 e il 2013 per una vicenda di droga. Un vizio di famiglia, una tradizione che si tramanda di padre in figlio. Anche Leonardo Di Martino, infatti, venne catturato da latitante nel 2004, in un paesino alle porte di Teramo. Si era nascosto sotto falso nome in un piccolo appartamento assieme a sua moglie quando le forze dell’ordine lo hanno bloccato e portato in carcere.
Il padrino sta scontando una condanna definitiva a 20 anni di carcere per traffico di droga. A conferma del ruolo apicale rivestito da Antonio Di Martino ci sono, poi, le pesantissime accuse mosse, in questi ultimi anni, dai magistrati Antimafia. A cominciare dal processo per droga che vede accusato il rampollo di Iuvani di aver stretto accordi e alleanze con alcuni esponenti di spicco della ‘ndrangheta calabrese. Un indizio che aveva spinto le ricerche del latitante, in un primo momento, anche in Calabria. In quel processo Di Martino è accusato di aver importato a Gragnano, grazie alle ‘ndrine, decine di carichi di marijuana e cocaina destinati alle piazze di spaccio della provincia.
Il suo nome, come noto, è finito poi al centro dell’inchiesta “Olimpo”, l’indagine sul patto tra clan per l’affare racket. E recentemente è rimasto invischiato anche nell’inchiesta “Domino”, fascicolo che pone l’accento sui legami tra i boss di Iuvani e il clan D’Alessandro per l’affare spaccio. Un’indagine, quest’ultima, nata dalle indagini aperte su uno dei diversi delitti irrisolti commessi dalla camorra nella zona dei Monti Lattari: l’agguato costato la vita ad Antonio Fontana, ex pentito del clan D’Alessandro massacrato nel 2017 ad Agerola, territorio sotto il controllo dei Di Martino-Afeltra.
Fontana avrebbe dovuto testimoniare nel processo “Sigfrido”, il maxi-procedimento a carico dei boss di Castellammare. Gli stessi padrini accusati di essere alleati dei boss di Iuvani.