Rocco Traisci.
Nelle stanze di Jamulus può capitare di suonare una jam session insieme a grandi celebrità della musica, rigorosamente in anonimo. Più frequentemente si tratta di compagni lontani, di band in smart working, di artisti che vivono agli estremi opposti del pianeta. In sintesi Jamulus è definita la più grande sala prove del mondo, dove tutto è possibile: improvvisare, provare uno spettacolo, scrivere un disco. Rigorosamente a distanza e in tempo reale. Si tratta di un software in open source battezzato come il “renaissance” della discografia virtuosa, soprattutto quella dei grandi improvvissatori free o classic jazz, della musica classica, una manna dal cielo anche per il frastagliato e creativo mondo delle autoproduzioni. Ottima la definizione dei suoni e dei beat, per una jamming veloce, cotta e mangiata che supera tutti i pesanti passaggi di tempo, spazio e spese, con la possibilità di invitare in stanza anche un tecnico del suono per fare le cose in grande. Da un’idea geniale di Volker Fischer nel 2013, con i mesi del covid si è arrivato al record di accessi. La novità sta nella riduzione ai minimi termini della cosidetta “latenza”, il lasso di tempo che si verifica mentre i flussi audio (compressi) viaggiano da e verso ciascun musicista. Per ridurre il più possibile la latenza, Jamulus utilizza l’audio compresso e il protocollo UDP per trasmettere i dati audio. I server possono essere pubblici o privati, essendo i primi elencati da “server centrali” da cui gli utenti possono scegliere un server con la latenza più bassa per loro. Già nel 2018 Jamulus stava attirando l’attenzione per riunire le ensemble classiche (come i quartetti d’archi) , ma il suo utilizzo è aumentato notevolmente nel 2020 a causa della pandemia. Nell’aprile 2020 è stato scaricato duemila volte al giorno, con un trend in aumento. È stato eletto “Progetto del mese” di SourceForge nello scorso giugno.