L’ipotesi di poter utilizzare due tipologie di vaccino anti-Covid differenti tra la prima e la seconda dose, con una conseguente semplificazione delle campagne vaccinali, continua a far discutere ed i dati scientifici attualmente disponibili arrivano all’esame dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema). L’ente regolatorio europeo dovrà decidere se ci sono evidenze scientifiche sufficienti per poter formulare nuove raccomandazioni e ‘sdoganare’ dunque l’impiego di due vaccini diversi per completare il ciclo di immunizzazione. Ieri, nel corso della sessione del Consiglio europeo dedicata al Covid, proprio il presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe proposto di chiedere all’Ema di pronunciarsi sulla questione il più presto possibile, perché questo aumenterebbe la flessibilità per gli Stati membri nell’approvvigionamento dei vaccini anti-Covid.
Anche probabilmente sulla scorta di tale richiesta, l’Ema procederà, secondo quanto si apprende, ad una valutazione degli attuali dati scientifici e verificherà se questi possano bastare per formulare una nuova indicazione. Il ‘mix’ di vaccini è al momento “una soluzione interessante” secondo Guido Rasi, consulente del commissario per l’emergenza Coronavirus e già direttore esecutivo dell’Ema. “Da immunologo – spiega all’ANSA – mi aspetto che effettivamente possa dare risultati migliori rispetto all’utilizzo di un singolo vaccino. Il mix, infatti, dovrebbe funzionare poichè il sistema immunitario, se sollecitato con stimoli diversi, reagisce di più.
Quindi da un punto di vista teorico tale approccio dovrebbe essere efficace”. Utilizzando due tipologie di vaccino diverse, cioè, il sistema immunitario “dovrebbe reagire meglio perchè potrebbe avere stimoli leggermente diversi e produrre dunque una gamma di anticorpi più ampia. Questo, in genere – chiarisce – determina appunto una copertura più ampia e quindi la risposta complessivamente dovrebbe essere più potente”. L’ideale, afferma Rasi, “sarebbe mischiare vaccini che hanno bersagli differenti: per esempio Moderna e Pfizer, che utilizzano una parte diversa della proteina Spike del virus SarsCoV2 come bersaglio, rispetto al vaccino di AstraZeneca. Un mix di questo tipo renderebbe più ampio il ventaglio delle reazioni immunitarie”. Tutto queste, avverte però l’esperto, “è valido nella teoria: da un punto di vista pratico, bisognerà infatti verificare se ci sono dati scientifici sufficienti. Un singolo studio – che è quello di cui al momento si dispone – potrebbe non bastare, ma non è detto”.
Il punto è che da ulteriori studi ed osservazioni, spiega ancora Rasi, potrebbe ad esempio emergere che “le differenze tra i due approcci, ovvero l’utilizzo di uno stesso vaccino o di un mix, sono magari trascurabili o può darsi che possano emergere problemi legati alla durata della risposta immunitaria, perchè con l’approccio del mix non si è consolidata nè quella con un vaccino nè con l’altro”. Tutto questo, “è molto difficile da sapere, ed è giusto effettuare più osservazioni”. Insomma, “l’ipotesi è molto interessante, però non è scontato l’esito e soprattutto i termini della durata della protezione immunitaria potrebbero essere una questione che rimane aperta stando all’esperienza attuale. Vedremo come l’Ema si pronuncerà”. Sicuramente, conclude, “l’Agenzia europea considererà tale ipotesi, ma non è detto che sia in grado di avere tutti gli elementi per formulare una raccomandazione”.