I giovani danno lo sprint alla campagna vaccinale, ma gli esperti frenano sugli Open Day, in particolare quelli con le inoculazioni di Astrazeneca, che porterebbero ad un rischio di trombosi “più alto del Covid-19”. Al momento proseguono comunque in massa le prenotazioni dei ragazzi, che puntano al green pass. E’ proprio con il certificato vaccinale che potrebbero tornare in pista, in attesa dell’apertura delle discoteche: dopo un primo incontro al ministero della Salute tra il sottosegretario Andrea Costa e i gestori delle sale da ballo, emerge una convergenza sulla ripartenza a luglio e l’utilizzo del green pass. “Ho raccolto le richieste, da condividere ora con governatori e Cts, sottolineando la mia posizione a favore di una riapertura senza distanziamento, che comunque non avverrà a giugno”, chiarisce Costa. Resta ancora da stabilire se resterà obbligatoria la mascherina una volta entrati. Su questi provvedimenti il centrodestra è compatto e sale il pressing sul ministro della Salute, Roberto Speranza, che al momento resta cauto. Anche il leader del Carroccio ha incontrato il sindacato dei gestori dei locali: “la Conferenza delle Regioni aveva già ipotizzato di togliere i divieti nelle zone bianche grazie al green pass”, dice Matteo Salvini, spiegando di aver “personalmente affrontato l’argomento con il Presidente del Consiglio” e di essere “in queste ore al lavoro in stretta collaborazione con il ministro Giancarlo Giorgetti. Vogliamo garantire il divertimento controllato, sicuro e ragionevole”.
Anche in virtù dei nuovi allentamenti in zona bianca, presto estesa a tutto il Paese – e della fine del coprifuoco dal prossimo 21 giugno – le Regioni continuano ad immunizzare i più giovani con qualsiasi tipo di siero: negli ‘eventi vaccinali’ appositamente dedicati non si utilizzano soltanto gli Rna (Pfizer e Moderna), ma soprattutto quelli a vettore virale (Astrazeneca e Johnson & Johnson, raccomandati dall’Aifa per gli over 60). La Campania, il Friuli Venezia Giulia e l’Umbria sono quelle che hanno somministrato il maggior numero di dosi ai giovani tra i 20 e i 29 anni, coprendo rispettivamente il 26,1%, 21,8% e 21,3% di questa fascia di popolazione. In questa graduatoria, che comprende anche la province autonome di Trento e di Bolzano, quest’ultima ha raggiunto già il 30,3% mentre la Lombardia è al 20,7%, la Sicilia al 20,3% e la Basilicata al 20%. Un gruppo di 24 medici vaccinatori ha però lanciato un appello, dicendosi contrario alla scelta di aprire ai più giovani le vaccinazioni con gli Open day AstraZeneca, “perché la somministrazione di questo vaccino ai soggetti minori di 40 anni, in particolare di sesso femminile, potrebbe comportare più rischi che benefici, causando anche se raramente complicanze potenzialmente mortali”. La loro intenzione – spiegano – è “rafforzare la fiducia nelle Istituzioni ed evitare rischi inutili tra i nostri giovani”. Stessi avvertimenti da Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe, secondo il quale l’esigenza di vaccinare la popolazione andrebbe contemperata con la possibilità di somministrare, in questo momento, altri tipi di vaccini ai giovani. Con il siero a vettore virale, andrebbe immunizzato “quel 28% di 60-69enni e 17% di 70-79enni che ancora non hanno ricevuto la prima dose di vaccino”, aggiunge Francesco Broccolo, virologo dell’Università Bicocca di Milano.
In Italia oltre tre milioni di over 60 invece non hanno ricevuto neppure la prima dose, nonostante siano la fascia più esposta ai rischi letali del Covid. Se da una parte appare fisiologico che su questa classe di età le inoculazioni rallentino con l’avvicinarsi della saturazione delle persone decise a vaccinarsi, restano anche altri problemi: c’è chi non si registra sulle piattaforme per le prenotazioni, né attraverso i numeri telefonici verdi, non chiede informazioni ai propri medici di base o da mesi è ancora risente della psicosi sui rischi dovuti agli effetti collaterali. Anche per questo ora si punta a soddisfare la domanda di fasce di popolazione più disponibili, senza le quali il ritmo della campagna rallenterebbe drasticamente: “l’allarme c’è non solo nella mia regione – dice il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga- c’è una fetta di popolazione incerta, che non si vuole vaccinare, e su quella dobbiamo essere convincenti, dobbiamo fare una campagna, per tutelare il singolo e tutti gli altri”.