Il movente dell’omicidio del consigliere comunale del Pd, Gino Tommasino, avvenuto a Castellammare di Stabia il 3 febbraio 2009, potrebbe avere a che fare con l’estorsione che proprio in quei giorni il clan D’Alessandro stava mettendo a segno nei confronti dell’architetto Pino Celotto, intervenendo nella lite tra il professionista e l’imprenditrice Olga Acanfora.Una pista battuta all’inizio delle indagini sul delitto, che torna con forza dalle motivazioni della sentenza di condanna a 5 anni di reclusione emessa dai giudici della Corte d’Appello di Napoli nei confronti di Olga Acanfora, all’epoca presidentessa degli industriali.I giudici ricostruiscono la vicenda dell’estorsione messa in atto nei confronti dell’architetto Pino Celotto, che vantava crediti per 400mila euro nei confronti dell’imprenditrice considerata la Lady della Sanità campana.
I 400mila euro sono la somma di tre fatture riferite a più lavori che il professionista ha curato per i centri di riabilitazione di Olga Acanfora. L’imprenditrice non è disposta a pagare l’onorario del professionista.E qui i giudici ripercorrono le tappe di quella vicenda legandola a doppio filo all’omicidio del consigliere comunale Gino Tommasino e mettendo nero su bianco anche molti interrogativi irrisolti. Tra le pieghe di quelle risposte lasciate in sospeso potrebbe esserci anche il movente del delitto del politico di Castellammare di Stabia.Per comprendere bene la vicenda, bisogna ricordare che Olga Acanfora chiede l’intervento di Gino Tommasino per cercare di risolvere il problema con il professionista al quale non intende pagare 400mila euro. I giudici inseriscono anche alcune intercettazioni già venute fuori dopo il delitto del consigliere comunale.«Gino mi ha sempre detto a questo questo proposito, dice no io ho fatto un grosso piacere, lo posso chiedere. Poi mi chiamò, disse Olga così così, io disperata perché questa storia è andata avanti un anno. Però io penso che Gino me l’avesse detto per come era fatto Gino, cercando di risolvermi il problema, poi queste persone gli avessero chiesto qualcosa in cambio», questa è una delle frasi pronunciate allora da Olga Acanfora che lasciano dubbi irrisolti.
Cosa aveva chiesto in cambio il clan D’Alessandro?Va ricordato che Gino Tommasino per risolvere quella vicenda decide di contattare Sergio Mosca, pezzo da novanta della cosca di Scanzano che viene indicato dal killer Salvatore Belviso – poi diventato collaboratore di giustizia – come il mandante dell’omicidio del consigliere comunale del Pd.Mosca per imporre a Celotto di abbassare le sue pretese incassa 15mila euro e l’architetto decide di dimezzarsi l’onorario il giorno seguente all’omicidio di Tommasino. «Ha avuto paura secondo me», disse Olga Acanfora intercettata dai familiari del consigliere comunale.
Una frase che viene ripresa dai giudici per ribadire che l’imprenditrice sapesse quali fossero gli interlocutori di Tommasino e come Celotto temesse per la sua incolumità dopo la sua uccisione.Il consigliere comunale del Pd è stato ammazzato per lanciare un segnale? Magari non solo su questa vicenda? E’ uno dei sospetti che resta in campo, anche perché la cortina di fumo che resiste sul delitto da ormai dodici anni non si è mai diradata.I giudici della Corte d’Appello si soffermano anche su un’intercettazione mai chiarita della Acanfora. «Infine, resta senza una precisa risposta la frase della Acanfora detta al marito “…io voglio sapere se lo dico e posso patteggiare…”. La Acanfora vuole confessare, ma cosa? Visto il tenore delle sue parole, non certo un lecito interessamento di un amico di due parti in lite per il pagamento di una parcella», si legge nel dispositivo della sentenza.