Immaginiamo due amiche, stessa età, stesso sovrappeso, stessa altezza, stesso stile di vita, entrambe seguono un percorso dietetico ipocalorico ma una perde qualche chilo mentre l’altra solo pochi etti. Quante volte sarà capitato di provare tanta sana e ingenua invidia nei confronti dell’amica così simile a te ma che ha perso il doppio del peso che hai perso tu. Perché? Perché non siamo solo quello che mangiamo ma siamo soprattutto quello che assimiliamo e quello che il DNA “decide” per l’organismo e il metabolismo di ciascuno. Negli ultimi anni la ricerca in campo nutrizionale ha chiaramente dimostrato che non esiste una dieta valida per tutti. Il nostro peso infatti non dipende esclusivamente dalle calorie che ingeriamo o bruciamo durante l’attività fisica e, sebbene siano in gioco molti fattori (contesto metabolico, sociale, psicologico, storia familiare), una delle ragioni per cui certi piani alimentari funzionano per alcuni ma non per altri, potrebbe avere a che fare con la nostra genetica. Già nel V-IV secolo a.C., Ippocrate riconosceva il rapporto stretto tra alimentazione e salute: “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”. E oggi dopo il sequenziamento completo del DNA umano attraverso lo Human Genome Project, lo studio delle interazioni che i nutrienti hanno con i comparti cellulari ha aperto uno scenario inedito, vasto e complesso ma molto affascinante. Siamo nell’era della nutrigenetica e della nutrigenomica, le ultime frontiere dell’alimentazione che si interessano di approfondire il modo con cui i cibi dialogano con i nostri geni e viceversa. Per realizzare gli ambiziosi target che queste due discipline si propongono, basterà un capello o un po’ di saliva da cui estrarre il DNA e dopo averlo letto ricavare informazioni dettagliate che, in sede di anamnesi e nel contesto di un quadro clinico complessivo, siano utili sia per formulare un regime alimentare di dimagrimento efficace ma anche per prevenire malattie metaboliche. Ognuno di noi è infatti geneticamente unico e nel nostro DNA sono contenute non solo informazioni su colore di occhi e capelli, ma anche altre notizie meno evidenti, come la capacità di assorbire certi nutrienti o la predisposizione a sviluppare malattie. L’ambiente in cui viviamo e i nostri comportamenti a tavola possono trasformare queste predisposizioni in problemi reali. La sfida è quella di poter dire a ciascuno cosa mangiare sulla base delle sue caratteristiche genetiche, di formulare schemi alimentari super-personalizzati dove geni, nutrienti e metabolismo diventano la tripletta vincente da allineare perfettamente. In tale direzione oggi si lavora attivamente tanto che si auspica una sinergia tra nutrizionisti o dietologi e laboratori di genetica. È ovviamente un approfondimento che richiederà costanza e tempo anche se al momento sono già stati individuati una serie di geni in grado di interagire in modo diretto con gli elementi della dieta e che da questi risultano profondamente influenzati. Un esempio tra tanti lo troviamo nella fenilchetonuria una patologia legata alla mutazione di un gene che codifica per un enzima del fegato che serve a metabolizzare la fenilalanina, uno degli amminoacidi di cui sono composte le proteine. Dal momento che l’accumulo di fenilalanina è tossico per il cervello, i pazienti affetti da questa patologia devono seguire un regime alimentare povero di proteine. I vantaggi di questo approccio sono senza dubbio molteplici e notevoli. Sarà infatti possibile individuare soluzioni valutando contemporaneamente diversi markers come infiammazione, capacità metabolica, intolleranze, sensibilità e profilo lipidico e con un quadro completo sarà possibile differenziare la proposta nutrizionale in relazione alla richiesta specifica del paziente.
Maria Ilaria Verderame
*Biologa Nutrizionista