Hanno già fallito sette riforme della legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura, e adesso – questa la forte preoccupazione espressa per l’ennesima volta dall’Associazione nazionale magistrati dopo gli ultimi due giorni di dibattito interno – la stessa fine rischia di fare il provvedimento che è in stand by in Commissione giustizia in attesa che sia calendarizzata la discussione dei 455 subemendamenti presentati, un terzo dei quali viene dal centrodestra. Ad avviso del ‘sindacato’ delle toghe, infatti, la riforma del Csm della ministra Marta Cartabia non solo non risolverà la piaga del correntismo e del carrierismo esasperato, ma favorirà gli schieramenti maggioritari a discapito delle minoranze.
“Oltre a non risolvere il problema del condizionamento delle correnti nell’individuazione dei consiglieri eletti”, la proposta di riforma del Csm “rischia di aggravare la situazione emersa con l’applicazione di quello attualmente in vigore, marginalizzando, fino quasi ad eliminare, la possibilità di essere eletti in Consiglio per candidati indipendenti o rappresentativi dei gruppi minori”, dice l’Anm guidata dal presidente Giuseppe Santalucia e dal segretario Salvatore Casciaro. “Il sistema, dunque – prosegue il documento delle toghe – produrrà una polarizzazione del consenso verso i due schieramenti maggioritari”. “Occorre ribadire – rileva l’Anm – come sia illusorio pensare che l’intervento sul sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura possa, di per sé solo, offrire una soluzione alle criticità emerse con quella che è stata definita ‘degenerazione correntizia’, come dimostrato dal fatto che numerose volte (ben sette) è stato modificato il sistema elettorale, senza che nessun meccanismo sia stato in grado di risolvere il problema”. Per quanto riguarda ‘strettamente’ il metodo elettorale, l’Anm osserva che “si tratta di un sistema spiccatamente maggioritario (per i tre quarti), con un correttivo proporzionale minimo che finisce per assegnare, ai possibili eletti membri di gruppi minoritari, quasi esclusivamente una sorta di diritto di tribuna”. Secondo la magistratura associata, dunque, “è pacifico prevedere che i due gruppi maggioritari possano ottenere, per ciascuno: un candidato di legittimità; due candidati pubblici ministeri; quattro candidati giudici di merito”. Quanto ai cinque giudici da eleggere con il metodo proporzionale, “nonostante il meccanismo di ‘scorporo’ dei voti di chi riesce ad essere eletto nel collegio maggioritario, è difficilmente contestabile che tra essi vi saranno anche quelli (prevedibilmente almeno altri due) collegati agli esponenti dei gruppi maggiori”.
“Il ‘collegamento tra candidati’ – sottolinea l’Anm – assomiglia molto alla creazione di vere e proprie liste, che il singolo ‘gruppo di candidati apparentati’ avrà interesse a rendere la più lunga possibile, per aumentare il più possibile il totale dei voti utilizzabili nel collegio virtuale per la ripartizione dei cinque seggi proporzionali”. In questa cornice di ‘trame’ e ‘liste civetta’, l’Anm segnala “la mancata previsione di un numero massimo di candidati ‘collegati’ in ciascun collegio, che andrebbe più correttamente limitato”. “Il risultato sarà quindi un Consiglio prevedibilmente composto, per la parte togata, da 16-17 consiglieri (su complessivi 20) appartenenti ai due gruppi di maggioranza, e 3-4 consiglieri divisi, si spera, fra gli altri gruppi” e – in conclusione – “il sistema, dunque, produrrà una polarizzazione del consenso verso i due schieramenti maggioritari”. In questo modo – conclude l’Anm – “l’obiettivo politico dichiarato dal riformatore sarà dunque necessariamente e chiaramente tradito, consegnando il Consiglio (quanto meno per la parte togata) in prevalenza ai due gruppi principali”.