Sotto i coperchi dei fusti che contengono rifiuti tossici, sporchi della terra su cui camminiamo, c’è un giro d’affari milionario. Soldi macchiati del sangue delle tante vittime che negli anni, per l’insorgere delle malattie legate agli sversamenti illeciti della camorra, hanno perso le forze prima della vita. Un business che fa gola a 90 clan di camorra attivi in Campania che negli anni hanno messo le mani sull’affare sporco dei rifiuti e dei roghi tossici. Un vortice nero, più del fumo che s’alza dagli incendi delle discariche, capace di coinvolgere anche i «cosiddetti» colletti bianchi: imprenditori e funzionari corrotti che hanno l’anima sporca, più delle mani. Il report “Ecomafie 2021” presentato da Legambiente ad Avellino, mette ancora una volta la Campania in cima alla lista nera delle regioni meno attente all’ambiente. Nel territorio dove brucia ancora la Terra dei Fuochi – tra le provincie di Napoli e Caserta – neanche l’emergenza Coronavirus ha arrestato il giro d’affari criminale legato a doppio filo con i danni fatti alle nostre campagne e ai nostri mari. Un patrimonio stupendo violentato negli anni dalla sete di denaro delle organizzazioni criminali, pronte a far affari anche a costo di rovinare il futuro dei propri figli. Nel 2020 c’è stata una lieve flessione rispetto al 2019, ma è un dato talmente lieve che è quasi irrilevante parlare di diminuzione di ecoreati. Dai rifiuti alle costruzioni abusive, montagne di cemento in grado di rovinare anche panorami mozzafiato come capitato sul Vesuvio. In questi anni a spartirsi la torta, insieme ad imprenditori, funzionari e amministratori pubblici collusi, sono stati i clan di camorra specializzati in vari settori: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici di animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili e alla distorsione dell’economia circolare. Nel 2020 sono stati accertati 5.457 reati di illegalità ambientale, una media di 15 al giorno. La Campania registra il numero più alto di reati in applicazione della legge 68 del 2015 sugli ecoreati, nel 2020 raggiungono quota 280 (+ 77% rispetto lo scorso anno), con 216 persone denunciate e 3 arrestate, coinvolgendo 7 persone giuridiche e con un valore di beni sequestrati di oltre 25 milioni di euro. L’unico dato che conforta è quello dei controlli, più intensi negli ultimi anni. Sono raddoppiati gli arresti: 50 contro i 24 del 2019. E sono aumentate le denunce: 654, con un incremento del 15% rispetto al passato. Continua a crescere il numero di inchieste censite da Legambiente sulla corruzione in ambito ambientale: in Campania nel periodo di rilevazione, che va dal 18 ottobre 2020 al 15 settembre 2021, sono state 65, con 277 persone denunciate, 194 arrestate e 282 sequestri. Spostando il conto all’inizio del 2010, anno in cui è incominciato il censimento, la Campania conquista anche in questa filiera il primato nazionale con ben 165 inchieste intercettate dai radar di Legambiente, gli arresti 785, le denunce 980, i sequestri 196. «I numeri e le storie raccolte nel rapporto – spiega Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania – dimostrano inequivocabilmente come il crimine ambientale sia essenzialmente un crimine d’impresa. Le risorse ambientali sono ad alto rischio. È urgente affiancare alla risposta giudiziaria, che in questi anni ha portato dei buoni risultati, una risposta politica-istituzionale ancora troppo carente». Segnali che c’è ancora tanto da fare per ripulire la Campania dalle montagne di cemento e dalle tonnellate di rifiuti che l’hanno inquinata.
Roghi tossici in provincia di Napoli
CRONACA
5 aprile 2022
Rifiuti, roghi e abusivismo: le mani delle ecomafie strozzano la Campania