Negli anni Ottanta era considerata la “capitale” politica dell’Italia. Soprattutto d’estate, Nusco, poco meno di quattromila abitanti a novecento metri di altezza in provincia di Avellino, diventava il crocevia di incontri anche riservatissimi tra i big democristiani impegnati a risolvere le frequenti fibrillazioni all’interno del partito, per mettere a punto strategie congressuali e, tema allora dominante, decidere come fronteggiare il rapporto permanentemente conflittuale con il Psi di Bettino Craxi.
Nella villa di Ciriaco De Mita, la stessa dove è stata allestita la camera ardente, sono passati tutti o quasi: “cavalli di razza”, ministri, imprenditori, grand commis, gli inviati e le grandi firme del giornalismo italiano, sindaci e amministratori di grandi e piccolissimi comuni della Campania, ma soprattutto gente comune che in agosto, nel giorno di san Ciriaco, sin dalle prime ore del mattino si metteva pazientemente in fila per ore per gli auguri e una rapida stretta di mano.
E’ la stessa villa finita nelle polemiche politiche e giornalistiche del dopo sisma della quale De Mita, in occasione del quarantennale del terremoto che nel 1980 sconvolse la provincia di Avellino, dirà all’Ansa: “Credo di essere il solo a non aver ricevuto finanziamenti per riparare la mia casa”. Un rapporto inscindibile e permanente quello di Ciriaco De Mita con il paese in cui nacque il 2 febbraio del 1928, sua madre casalinga e il padre, Giuseppe, che a Nusco oltre al sarto svolgeva anche funzioni di postino. Come ha raccontato in libri ed interviste, fu proprio la bottega del padre, dove si riunivano i dissidenti del regime fascista inviati al confino a Nusco, la sua prima palestra politica. Celebri le interminabili e combattutissime partite a carte nella sua casa di Nusco, ma anche ai tavolini del bar di piazza Sant’Amato, che facevano immediatamente seguito alla lettura dei giornali: scopa o tressette, De Mita sceglieva i suoi avversari tra amici e vicini di casa che raramente avevano la meglio.
Una vita dedicata alla politica, iniziata a Nusco e conclusa a Nusco: dopo l’esperienza come europarlamentare, l’ex segretario dc scelse di ritornare alle radici, candidandosi come sindaco del suo piccolo comune. Eletto la prima volta a 86 anni nel 2014, confermato nel 2019 per il secondo mandato svolto praticamente fino alla fine.
L’ultima partita a carte, poi la resa”sono stanco”
Le partite a carte da vincere ad ogni costo e il rito dello struscio domenicale. E ancora, la rasatura da Tattalino, il barbiere con il culto del leader, e gli sfottò al cugino oppositore. Vista da Nusco, ora che Ciriaco De Mita, “il filosofo della Magna Grecia”, come lo ribattezzò Gianni Agnelli, è morto, quanto è lontana la prospettiva dell’uomo di Stato avvezzo ai “ragionamenti politici” dispiegati in oltre sessanta anni di attività politica. Lontani i fari della Roma dei palazzi, a prevalere nella narrazione del lutto collettivo non sono i successi pubblici, quanto i ricordi e gli amarcord, tra cordoglio e riconoscenza per quel compaesano che ce l’ha fatta ma che non ha mai tagliato le radici con la sua terra. Che ha avuto tanto ma anche tanto ha restituito.
Vizi e virtù dell’uomo, prima del politico. Nusco, via del Piano. Il sole che batte forte sul vialone alberato e silenzioso di un paese che offre il meglio di sé nel centro storico medievale che sorge in cima, lontano oltre un chilometro dalla casa dell’ex leader democristiano, e dove domani si celebreranno i funerali alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Sono le 11 quando il feretro di Ciriaco De Mita fa ritorno in quella abitazione da cui era uscito circa un mese fa per seguire un protocollo riabilitativo in una clinica di Avellino finalizzato al recupero dall’infortunio domestico che gli aveva procurato la frattura del femore a febbraio. Chi gli è stato vicino fino all’ultimo parla di una fine per consunzione, come se il vecchio leone democristiano non avesse più voglia di lottare, arrivando finanche a rifiutare il cibo. “Un epilogo naturale dopo tre mesi di lotta” spiega il suo medico curante Pino Rosato.
Ad attenderlo ci sono le telecamere, le forze dell’ordine e qualche concittadino (pochi a dire il vero, complici anche l’orario di lavoro e l’afa). Alla spicciolata arrivano l’ex ministro Zecchino (“con lui finisce un’era”) e Giuseppe Gargani (ambedue esponenti di quella formazione di irpini ribattezzata dei magnifici sette), e poi l’assessore regionale Morcone, il senatore Cosimo Sibilia. Un altro amico storico, il suo farmacista di fiducia e compagno di mille battaglie sul tavolo da gioco, Luigi Cardillo, lo aveva capito già qualche settimana fa che qualcosa non andava per il verso giusto.
“L’ultima partita a carte, la sua grande passione, ce la siamo fatta una ventina di giorni fa. Capii che qualcosa non andava perché lui, che avrebbe giocato all’infinito, a un certo mi disse che si sentiva stanco e chiese di finirla là. Poi l’ho sentito l’ultima volta giovedì scorso e me lo ripeté: sono stanco”.
E così Nusco si è svegliata con la notizia che non avrebbe mai voluto ricevere. “Oggi abbiamo perso un illustre figlio dell’Italia – dice con voce rotta dalla commozione il vicesindaco Vigilante che ‘al Presidente’ come lo chiama, non è mai riuscito a dare del tu -“. Per lui bandiere a mezz’asta e lutto cittadino domani. Affranto il ricordo del suo barbiere, Carlo Mongelli: “Molta gente deve essere grata a De Mita, ma c’è anche gente che non ha avuto niente ed è quella che lo ha stimato di più”. Era burbero De Mita. E la puntualità era una delle sue fissazioni: “Era il primo ad arrivare in Comune.
A volte riprendeva pure me – continua Vigilante – ma poi accompagnava il rimbrotto con la frase ‘ti ricordo sempre che siamo amici”. La passione per le carte è ricorrente in tutte le testimonianze: “Appena era libero giocavamo – ricorda Cardillo – Ad Avellino, a Nusco, ma anche a Roma. Si giocava a briscola, tressette, scopa. Facevamo notte.
Non voleva mai perdere e si arrabbiava con i presenti se succedeva, diceva che portavano male”. Lo ricorda il cugino e storico oppositore in Consiglio Comunale Giovanni Marino: “Mi dava della pecora rossa e io gli dicevo Ciriachì, come lo chiamavamo in famiglia, tu in fondo sei leninista. Anche nel mio Pci avresti fatto carriera. Ciao Ciriachì”.