Napoli. L’ultimo addio pesante, in ordine di tempo, è stato quello di Mara Carfagna. Il Ministro per il Sud del Governo Draghi ha scelto di restare nell’esecutivo e di abbandonare il partito nel quale, giovanissima, era entrata come una delle favorite di Silvio Berlusconi. «La revoca della fiducia al governo Draghi ha segnato una radicale inversione di marcia e una evidente sottomissione all’agenda della destra sovranista, che chiedeva di anticipare il voto per incassare subito una probabile vittoria. Le prime proposte elettorali su pensioni ed extra-deficit, nonché la grancassa dell’immigrazione che ricomincia a suonare, confermano una cifra demagogica che contraddice qualunque seria responsabilità di governo».
Carfagna aveva esordito in politica nel 2004 con la carica di coordinatrice del movimento femminile di FI in Campania. Eletta in parlamento per la prima volta nel 2006, era stata ministra delle Pari Opportunità con Berlusconi e poi responsabile per il Sud con Draghi. Insieme a lei potrebbero lasciare anche i parlamentari più vicini, tra i quali Gigi Casciello, salernitano, giornalista ed ex Direttore di diverse testate. Non ha ancora deciso, invece, il coordinatore provinciale forzista, Antonio Pentangelo, eletto nel collegio di Castellammare. Aveva sbattuto subito la porta anche Maria Stella Gelmini, una delle fondatrici che non aveva digerito l’affondamento del Governo Draghi. Fuori dal partito, con parole al vetriolo, anche il ministro Renato Brunetta, uno dei più vicini a Berlusconi in questi anni. Ha sbattuto la porta anche Annalisa Baroni, in Forza Italia dal 2000 e Alessandro Mattinzoli oltre a Giusy Versace.
E nelle prossime ore la pattuglia di fuoriusciti potrebbe aumentare. L’obiettivo: dare vita a un soggetto di centro che dialoghi con l’area Draghi che si sta costruendo attorno al Pd e a Calenda. Ma nel centrodestra la situazione è tutt’altro che rosea. C’è da chiarire innanzitutto la questione della regola del ‘chi ha più voti si prende palazzo Chigi’, introdotta alle prece- denti politiche del 2018 e oggi messa in discussione, più o meno apertamente, da Fi e Lega di fronte alla prospettiva di Giorgia Meloni premier, favorita dai sondaggi che la danno tra il 23 e il 25 per cento. Per evitare lo scontro frontale in queste ore si starebbe pensando addirittura di rinviare il confronto su questo tema divisivo a dopo le urne o di ricorrere a un escamotage: prima del voto ognuno propone il suo candidato premier e poi si vede.
Quanto all’altra gatta da pelare, il risiko dei collegi, qui la questione è più complicata, perché ci sono più incognite: la quota del 33% ripartita tra Lega Fi e Fdi, raccontano, non sarà accettata dai meloniani, che fanno valere il loro ‘primato’ di consensi secondo le ultime rilevazioni. Non solo, ma poi c’è il problema dei centristi: in un primo momento si era parlato di Udc e Noi per l’Italia considerati in quota Fi, poi le cose sono cambiate e sembra che sia Lorenzo Cesa che Maurizio Lupi siano intenzionati a presentare il loro simbolo per non stare sotto il ‘cappello di Forza Italia’. Insomma non è detto che il favore dei sondaggi possa tradursi automaticamente in una vittoria senza sconti.