Ieri mattina Unione Popolare ha consegnato al Senato le firme per presentare la proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre un salario minimo legale di 10 euro lordi l’ora, agganciato automaticamente all’inflazione. A partire dal 2 giugno, festa della Repubblica fondata sul lavoro, UP e tutti gli attivisti e le attiviste per il salario minimo hanno raccolto più di 70 mila firme in tutta Italia. “Si tratta di un numero importante, molto più alto del necessario. Questa cifra rappresenta quanto ampia e generalizzata sia stata la mobilitazione popolare, verso una misura necessaria, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratori. Infatti, secondo le stime, sono più di 5 milioni le persone che hanno uno stipendio sotto i 10€ euro l’ora” si legge in una nota. “Portiamo in Parlamento una risposta ai bisogni popolari, quelli che chi siede tra i banchi del Governo ignora – dichiara Luigi De Magistris, portavoce di UP -. Una risposta che, se diventasse legge, permetterebbe a milioni di lavoratori e lavoratrici di uscire dalla trappola del lavoro povero, di restituir loro almeno una parte dell’enorme ricchezza che producono ogni giorno, sgobbando e faticando, e che oggi rimane incollata alle tasche di pochi. Il tutto all’insegna dell’applicazione di quell’articolo 36 della Costituzione che prevede l’obbligo di una retribuzione ‘sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa’”. Rispetto alle altre proposte di salario minimo, ad esempio a quella presentata dalle opposizioni parlamentari (M5S, Pd, Avs e Azione) di 9 euro l’ora, il testo di UP prevede una cifra di 10 euro lordi l’ora, “pari all’80% del salario mediano italiano, una percentuale che garantisce paghe degne, senza contraccolpi occupazionali”. “Altra differenza fondamentale, è che nel disegno di legge di UP non sono previsti incentivi per le imprese. In pratica: l’aumento degli stipendi non peserà sulla finanza pubblica, ma sarà a carico delle imprese” conclude la nota.
L’iter parlamentare. Ieri si è anche riunita la commissione Lavoro della Camera per proseguire l’esame delle proposte di legge delle opposizioni sul salario minimo su cui la scorsa settimana non si è riusciti ad arrivare al voto degli emendamenti presentati. L’ostruzionismo dei gruppi politici di minoranza, infatti, ha rallentato i lavori facendo slittare il voto sull’emendamento della maggioranza (primo firmatario il deputato di FdI Walter Rizzetto) che trasforebbe le proposte di legge in una delega al Governo eliminando ogni riferimento all’introduzione di un salario minimo legale. L’intenzione sarebbe chiudere l’esame delle pdl entro oggi per consentirne l’approdo in aula giovedì 30 novembre, come da calendario dell’assemblea di Montecitorio.
Le opposizioni. “Continueremo a chiedere che l’emendamento della maggioranza venga ritirato”. Lo ha detto a Public Policy il deputato del Partito democratico Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, prima dell’inizio dei lavori sulle proposte di legge sul salario minimo. “In apertura della seduta rinnoveremo anche la richiesta di audizione della ministra del Lavoro Marina Calderone”, ha aggiunto Scotto. La XI di Montecitorio, infatti, sta per riunirsi nuovamente per l’esame delle pdl delle opposizioni con l’intenzione di procedere al voto degli emendamenti in vista dell’arrivo in aula del provvedimento (al momento calendarizzato per giovedì 30 novembre).
Le posizioni contrarie. Prosegue, intanto, il dibattito parlamentare sul futuro del salario minimo. Un tema che FederTerziario, nel solco della sua recente azione di contributo teorico e confronto nei tavoli istituzionali, chiede di affrontare in maniera strutturata senza pregiudizi ideologici e superando l’antica contrapposizione tra le parti sociali. Una riflessione, sostiene, che si costruisce a partire da un’esigenza di contesto che si declina in un tessuto produttivo italiano costituito per almeno il 99% da micro e piccole imprese che vedono datore di lavoro e dipendente lavorare nel medesimo contesto, condividendone problematiche e successi. Questa parcellizzazione del sistema produttivo, assieme a una tendenza diffusa che sembra voler ridimensionare il ruolo dei corpi intermedi, essenziali per la democrazia, contribuisce direttamente alla disintermediazione e alla crisi della rappresentanza soprattutto se le problematiche del lavoro e del giusto compenso vengono affrontate in un’ottica di contrapposizione del tutto anacronistica. ‘’Esiste ed è un evidente problema in Italia la presenza delle sacche di lavoro povero – spiega Emanuela D’Aversa, responsabile relazioni industriali FederTerziario – ma bisogna anche chiedersi se il salario minimo di fatto, tentando di risolvere questa criticità, non possa determinare delle problematiche che sarebbero di fatto più gravi rispetto ai vantaggi che intendiamo introdurre. In primo piano, c’è soprattutto il rischio di una fuga dai contratti collettivi’’. A livello europeo, ricorda, la direttiva sull’applicazione del salario minimo, approvata il 14 settembre 2022, di fatto dovrebbe essere recepita dagli Stati membri entro due anni. Ma a livello nazionale, grazie alla capillare applicazione dei contratti collettivi che non rende obbligatoria l’introduzione del salario minimo, sono proprio questi ultimi a garantire e tutelare il lavoratore anche in termini di una giusta retribuzione attraverso l’interlocuzione e il confronto tra le parti sociali, impedendo quanto sta accadendo in ambito comunitario, proprio negli Stati che hanno introdotto la misura, nei quali si sta verificando una crescente tendenza a lasciare i contratti nazionali per intraprendere la via più semplice del salario legale così come previsto.