Camorra e droga, niente sconti al boss del clan Papale
Torre del Greco/Ercolano. Niente sconti per il boss Luigi Papale, il capo della cosca arrivata da Catania e trapiantata all’ombra del Vesuvio. A distanza di 8 anni dalla stangata incassata per il business-spaccio messo in piedi con Maurizio Garofalo – il «King of Narcos» noto negli ambienti criminali come ‘o pulliere – la suprema corte di cassazione ha rigettato, infatti, la richiesta di riconoscimento della continuazione avanzata dalla difesa del padrino e confermato le due condanne inflitte al capoclan tra il giugno del 2016 e il luglio del 2018.
Il braccio di ferro
Le vicende sono relative a due differenti inchieste condotte dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, la prima sulla guerra per il racket andata in scena a Ercolano negli anni di piombo della faida con il clan Iacomino-Birra e la seconda sulla «alleanza per lo spaccio» messa in piedi a Torre del Greco da Maurizio Garofalo: un «business» in cui erano entrati esponenti di spicco di varie cosche, come Domenico Gaudino – noto come ‘a uallerella, all’epoca reggente del clan Falanga – e lo stesso Luigi Papale, riferimento apicale dei Bottoni. Una scelta dettata – secondo la tesi avanzata dai legali del boss – dalla «volontà di espandere le attività malavitose del proprio clan» e, dunque, rientrante in «un unico disegno criminoso». Di parere opposto i giudici della corte d’appello di Napoli, già a pronti a respingere – a inizio aprile del 2023 – la richiesta di continuazione tra i reati e a negare qualsiasi sconto di pena al capoclan dei catanesi.
L’ultima carta
La sentenza è stata trascinata davanti agli ermellini del Palazzaccio di Roma, a cui la difesa di Luigi Papale ha presentato nuove «prove» a sostegno della tesi dell’unicità del disegno criminoso del boss. In particolare, sono state prodotte alcuni intercettazioni in carcere a carico del padrino dei Bottoni – successive al febbraio del 2007, epoca di riferimento della prima condanna – e a carico di Maurizio Garofalo, successive all’arresto del 2014. Non solo: presentate al vaglio degli ermellini della prima sezione penale – presidente Giacomo Rocchi – anche le dichiarazioni del pentito Giuseppe Pellegrino e dell’ex capoclan Isidoro Di Gioia, poi passato dalla parte dello Stato. Elementi di assoluta novità, secondo i legali del padrino, mai valutati in precedenza.
Il danno e la beffa
Secondo i magistrati della suprema corte di cassazione, invece, il ricorso si presentava come «generico e reiterativo di argomenti manifestamente infondati». Di qui, inammissibile. Accanto al «danno» del no agli sconti di pena, inflitta al padrino la beffa del pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende.
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