Napoli. Lo stile di vita è fondamentale per la prevenzione delle malattie, in particolare tra i giovani. In Italia circa il 35% dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni non pratica attività fisica sufficiente, e meno di un terzo degli adolescenti segue un’alimentazione corretta. La situazione è decisamente più allarmante sul fronte del fumo e dell’alcol.
Secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche, CNR, nel nostro paese circa il 19% dei giovani, pari a 480.000 persone, fuma quotidianamente, e il 15% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha praticato il binge drinking, ovvero il consumo di grandi quantità di alcol in breve periodo, con addirittura 4.100 accessi di minorenni in un anno al pronto soccorso.
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio nazionale alcol 2024 dell’Istituto Superiore di Sanità, l’alcol è il principale fattore di rischio di mortalità prematura e disabilità nelle persone di età compresa tra 15 e 49 anni, e rappresenta il 10% di tutti i decessi in questa fascia d’età.
Sono questi alcuni dei temi trattati da Marcello D’Errico, professore ordinario di Igiene e responsabile della sezione di Igiene, medicina preventiva e sanità pubblica dell’Università Politecnica delle Marche, nonché direttore della Struttura complessa di Igiene ospedaliera presso l’Azienda Ospedaliera Università delle Marche.
“I numeri dovrebbero far riflettere tutti – ha esordito – Ogni 10 secondi nel mondo una persona muore per cause legate all’alcol. E sopra gli 11 anni in Italia in 36 milioni hanno consumato almeno una bevanda alcolica, e l’abuso di alcol è la terza causa di morte dopo fumo e ipertensione. Un impatto sulla salute ovviamente devastante – ha aggiunto il professore – I rischi correlati all’alcol variano in funzione di diversi fattori. Evitare di bere è sempre preferibile, un consumo moderato di alcol equivale a due unità, che corrispondono a 125 ml di vino rosso a 12% di gradazione per l’uomo, mentre per la donna solo un’unità”.
Una piaga, quella dell’abuso di sostanze alcoliche, che interessa principalmente i più giovani, con conseguenze importanti per la salute, anche se non sempre visibili e spesso a lungo termine. “Fino ai 25 anni bisognerebbe non bere alcol, perché il cervello deve completare il suo sviluppo e la molecola degli alcolici può interferire con lo sviluppo della corteccia prefrontale, in cui ci sono funzioni critiche come la memoria, il giudizio, la gestione degli impulsi – ha spiegato D’Errico – Oggi c’è un’ampia percentuale di ragazzi che bevono e che hanno meno di 25 anni. Al di là dell’aspetto legato alla tossicità acuta, ci possono essere effetti a lungo termine che i giovani non possono vedere, così come per il fumo, e per questo non se ne preoccupano – ha riconosciuto – Abbiamo fatto tante campagne, tra gli adolescenti rispetto ai rischi prevale l’attrazione per le nuove esperienze. ‘Bevi responsabilmente’ è uno slogan che ha poco effetto sui giovani. Nel nostro paese la prevenzione non viene attuata a diversi livelli. Secondo me i genitori non sono informati abbastanza e proprio per questo il quadro è allarmante – ha ammonito il professore – Quando ero giovane la famiglia rappresentava una sorta di filtro, adesso non sono consapevoli né le famiglie, né i ragazzi sui veri rischi legati al precoce consumo di alcol, non hanno percezione dell’impatto grave che possono avere sulla salute”.
“Pensano che fare un binge drinking provochi solo divertimento e nessun rischio – ha ribadito – Le campagne fin qui non hanno inciso”. Oltre agli eccessi legati alle sostanze alcoliche, D’Errico si è soffermato anche sulle malattie sessualmente trasmissibili e di come queste siano in aumento: “Una di quelle malattie che pensavo di non aver dovuto trattare è l’Aids, che ora è una malattia comportamentale. Avendo risolto i problemi legati a trasfusione e trasmissione materna, resta solo quello legato ai comportamenti sessuali – ha sottolineato – I casi si sono triplicati, e invece di diminuire la diffusione dell’HIV è aumentata. Purtroppo ciò si è verificato in una fascia d’età, quella tra i 40 e 49 anni, prevalentemente per trasmissione sessuale. La categoria più esposta ancora oggi è quella dell’omosessualità maschile – ha specificato D’Errico – Ma purtroppo c’è anche l’eterosessualità, su queste due categorie bisognerebbe intervenire in maniera vigorosa”.
“Sono raddoppiati i casi di gonorrea, di oltre il 20% quelli di sifilide. E’ un ritorno al passato, di malattie che erano diminuite nel tempo perché la prevenzione era efficace. Purtroppo non c’è la consapevolezza nei giovani e non c’è prevenzione – ha ripetuto il professore – Il social è uno strumento che può dare un grande contributo in tal senso, ma bisogna maneggiarlo con cura. Io faccio riferimento alle fake news circolate durante la pandemia: se il social è uno strumento usato in maniera attenta – ha concluso – In quel caso allora potrebbe essere uno strumento da utilizzare per far metabolizzare le informazioni della prevenzione rispetto a tanti aspetti”.