Roma. L’analisi di una combinazione di otto biomarcatori può permettere di individuare le persone a maggior rischio di sviluppare demenza tra quelle che soffrono di un disturbo cognitivo lieve e, in tal modo, indirizzarli verso trattamenti che agiscono sui meccanismi biologici di sviluppo della malattia.
A dimostrarlo sono i primi risultati del progetto Interceptor, promosso e finanziato dal ministero della Salute e dall’Aifa, presentati oggi all’Istituto Superiore di Sanità. I numeri delle demenze, tra le quali l’Alzheimer è quella più frequente, sono quelli di un’emergenza.
“In Italia oltre un milione di persone sono affette da malattie neurodegenerative, quasi 900mila presentano deterioramento cognitivo lieve, condizione che può evolvere in demenza”, calcola il ministro della Salute Orazio Schillaci. “Consideriamo, poi, i 4 milioni di familiari di caregiver impegnati nell’assistenza di tutte queste persone. Calcoliamo, quindi, che in Italia le persone coinvolte, che hanno a che fare con le demenze, sono circa sei milioni”.
Negli ultimi anni la ricerca ha compiuto passi avanti importanti. Nuovi farmaci si stanno affacciando sul mercato e di recente l’Agenzia europea del farmaco ha dato il via libera al primo di questi prodotti. Questi medicinali oggi pongono nuove sfide: per garantirne la massima efficacia dovrebbero essere somministrati prima della comparsa della demenza, tuttavia non tutte le persone che presentano la fase precoce della malattia (il cosiddetto disturbo cognitivo lieve) progrediscono poi verso la demenza.
Per offrire i nuovi farmaci soltanto alle persone che possono beneficiarne, risparmiando a tutti gli altri i possibili effetti collaterali è dunque fondamentale comprendere quali pazienti con disturbo cognitivo lieve svilupperanno demenza. È in questo scenario che si inserisce lo studio Interceptor. Lo studio, a partire dal 2018 ha seguito 351 partecipanti con declino cognitivo lieve sottoponendoli a una serie di esami per rilevare diversi marcatori, potenzialmente associati alla malattia e alla sua progressione.
Al termine dello studio, sono stati identificati otto biomarcatori, il cui utilizzo combinato è stato in grado di prevedere correttamente il decorso del disturbo cognitivo lieve nel l’81,6% dei pazienti.
“Il Progetto Interceptor rappresenta un passo avanti fondamentale verso l’individuazione di biomarcatori in grado di predire chi, affetto da disturbi cognitivi lievi, avrà in seguito maggiori possibilità di sviluppare l’Alzheimer”, afferma il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, Robert Nisticò.
“Consentendo così un utilizzo più mirato di terapie altamente costose, che rischierebbero altrimenti di mettere in seria crisi l’intero sistema di assistenza sanitaria”. “Tutti ci auguriamo che la ricerca e l’innovazione in campo farmacologico ci porranno di fronte a nuove opportunità di cura per le patologie neurodegenerative”, conclude il ministro Schillaci. “Ma vorrei ribadire che è necessario avere valutazioni rigorose per quanto riguarda la sicurezza, l’efficacia, la spesa, l’impatto generale dei nuovi trattamenti”.