Quanto sono sicure le nostre case? E’ una domanda che non dovremmo porci soltanto mentre la terra trema. La sicurezza delle nostre abitazioni è una questione culturale, che purtroppo non abbiamo.
Maria Rosaria Pecce, docente di tecnica di costruzioni alla Federico II e componente dell’Ordine di Napoli, prima di addentrarci nelle questioni tecniche è giusto tener conto dell’aspetto emotivo mentre i Campi Flegrei “respirano” e le scosse si susseguono: cosa si può dire alla popolazione?
«Intanto che l’Italia è una zona sismica e che con questa realtà bisogna farci i conti. Oltre al caso dei Campi Flegrei, che sono una singolarità perché c’è una ripetitività del fenomeno molto elevata, siamo un Paese che deve imparare a convivere anche emotivamente con il terremoto. E’ chiaro che adesso prevalgono la paura e la tensione: vivere in una casa che si muove, dove si hai la sensazione che tutto possa venire giù preoccuperebbe chiunque. Del resto abbiamo negli occhi scene di crolli e immagini di morte che hanno scandito altri terremoti devastanti. Però bisognerebbe anche lavorare sull’informazione, capire quali possono essere le cause dei crolli, studiare cosa sono i terremoti, come se ne misura l’intensità, come si può migliorare la sicurezza dei nostri edifici, come si può fare prevenzione. Io sono un ingegnere e non posso fermarmi all’aspetto emotivo».
Come si può capire se la nostra abitazione è sicura?
«La sicurezza strutturale è qualcosa di complesso. La sicurezza della struttura è legata all’effetto delle azioni che vanno ad incidere sulla sua vita. Ogni struttura può risultate più o meno sensibile ad una determinata azione rispetto ad un’altra. Ci sono le tettoie che cadono per la neve e per il vento, i ponti che cedono per il peso del traffico. Insomma, la parola sicurezza va intesa in forma probabilistica. Scientificamente non esiste la sicurezza in senso assoluto. Esiste una probabilità che viene considerata in fase progettuale. Ma questo non mette al riparo dalle tragedie. Se arrivasse un’azione più grande di quella presa in considerazione per la progettazione della struttura si verificherebbe comunque un crollo. La sicurezza non dipende solo da aspetti tecnici ma anche da aspetti economici. Quando si costruisce un edificio, bisogna mediare tra le esigenze tecniche e quelle economiche. Le strutture del passato avevano un abbondanza di materiale, ed erano più resistenti, oggi sono un compromesso tra sicurezza ed economicità. Rispondono a garanzie previste nei protocolli ma non hanno «rischio zero». Non esiste opera che non possa cedere per un evento straordinario».
Sui protocolli di sicurezza incidono studi ed esperienze. Viviamo in un territorio segnato dal sisma del 1980 e il bradisismo non lo scopriamo oggi, eppure in mezzo secolo s’è fatto poco.
«Il concetto di sicurezza si evolve, perché la conoscenza si evolve. Dopo il terremoto dell’80, dopo quelli del Molise, dell’Emilia Romagna e dell’Abruzzo, sono arrivate nuove norme alle quali bisognerebbe attenersi e adeguarsi. Il livello di sicurezza è garantito dalla revisione dei metodi con cui si progetta. E’ chiaro che ciò che è stato fatto prima non può essere in linea con le nuove norme, questo non toglie che bisognerebbe adeguare gli edifici esistenti. Su questo è stato fatto abbastanza poco».
Per mancanza di volontà o di fondi?
«Io dico che le opportunità economiche ci sono state e spesso non sono state sfruttate. Il primo investimento dovrebbe riguardare lo studio degli edifici, proprio come si fa con un paziente da curare. Servono analisi, accertamenti e diagnosi. Ovviamente il tutto andrebbe fatto in un periodo di calma, non sull’onda emotiva di un terremoto o di uno sciame sismico. In questi anni sono stati fatti molti investimenti per le analisi di vulnerabilità sismica. Sul fronte pubblico qualcosa è stato fatt, sul fronte privato meno. Il sisma-bonus, tanto per capirci, non ha funzionato.
Il sisma bonus nasceva prevalentemente per l’adeguamento sismico, invece s’è fermato alle facciate.
«E’ vero, la parte riguardante l’adeguamento sismica è stata utilizzata pochissimo. Intervenire sulla struttura rappresenta un impegno maggiore ed è più oneroso dal punto di vista dei tempi e della spesa. Ma è un problema soprattutto culturale, nel senso che i privati che dove vano decidere hanno scelto di guardare solo il bisogno giornaliero, magari un infisso più bello, una facciata rifatta e ritinteggiata, interventi che vengono privilegiati in maniera incosciente. E’ più facile vedere un cornicione che si scolla piuttosto che un problema strutturale grave che rischia di compromettere la staticità dell’edificio. Differenze che un tecnico preparato e competente dovrebbe mettere sotto il naso del committente in maniera perentoria. Sul tema della certificazione delle strutture, poi, la politica non ha mai saputo incidere. Per esempio: quando si acquista casa è obbligatorio il certificato energetico, ma non è obbligatorio il documento che racconta la storia della struttura».
Tra le zone rosse dei Campi Flegrei e del Vesuvio, vivono un milione e mezzo di persone: qual è lo stato del patrimonio edilizio nel quale vivono?
«Vede, sul rischio vulcanico c’è poco da fare. Se ci fosse un’eruzione non ci sarebbe casa in grado di reggere. In questo caso le uniche possibilità di salvezza sono da una parte i piani di evacuazione fattibili e applicabili, dall’altra una politica di spopolamento mirato a ridurre la densità abitativa. Sul fronte dell’emergenza sismica le cose sono diverse: è possibile progettare edifici in grado di resistere ad eventi di forte intensità senza riportare danni significativi. Ci sono le norme, ci sono i protocolli e c’è la competenza. Bisogna solo avere la cultura di investire nella sicurezza della propria vita e in quella degli altri».
E invece per decenni si è continuato a costruire senza regole e nell’illegalità più totale.
«L’abusivismo è un tema di cattiva idea urbanistica ma da un punto di vista strutturale le carenze non sono per forza peculiarità di una costruzione abusiva. In linea di massima, dunque, scinderei il fenomeno dell’abusivismo con la questione della carenza di sicurezza degli edifici. Se costruisco senza seguire alcuna regola e alcun protocollo, abusiva o no, la mia realizzazione sarà un’opera indecifrabile per chi dovrà studiarla e manutenerla successivamente. E allora la manutenzione sarà impossibile anche per un bravo tecnico».
A proposito, quanto è importante investire nella formazione degli ingegneri di domani?
«La formazione è tutto. Devono averne cura i docenti e le famiglie. Ma il problema vero è che nel nostro settore mancano i giovani e questo è il frutto di una comunicazione sbagliata. Magari se smettessimo di parlare di sicurezza solo sull’onda delle emozioni, magari i ragazzi capirebbero l’importanza di formarsi in questo settore».