Era al telefono: prete travolge (e uccide) una donna in moto, poi scappa
Bari. Sono scattati gli arresti domiciliari per don Nicola D’Onghia, il prete accusato di aver travolto con la propria auto e ucciso Fabiana Chiarappa, la 32enne morta a Turi in provincia il Bari il 2 aprile 2025, e di essere fuggito senza prestare soccorso.
I carabinieri di Turi hanno dato esecuzione all’alba di martedì a un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip di Bari Nicola Bonante con le ipotesi di omicidio stradale aggravato dalla fuga e omissione di soccorso.
Secondo le indagini, condotte acquisendo telecamere di sorveglianza pubbliche e private ed effettuando accertamenti medico-legali e tecnici sul luogo dell’impatto avvenuto alle 20.28 e sui mezzi coinvolti, la donna sarebbe stata “ancora viva” dopo essere caduta autonomamente dalla propria moto Suzuki 600 ed è morta “solo a causa” dello “schiacciamento” provocato dalla Fiat Bravo guidata dal 54enne di Putignano.
D’Onghia “stava utilizzando il proprio telefono cellulare mentre si trovava alla guida” si legge nelle 31 pagine del provvedimento che ha accolto la richiesta della pm Ileana Ramundo e dell’aggiunto Ciro Angelillis. Dalla analisi dei tabulati è emerso l’uso continuativo e costante del cellulare alla guida” da parte del parroco “impegnato in conversazioni e tentativi di chiamata fino a 11 secondi prima dell’investimento” letale.
Attività che lo hanno completamente “assorbito e distratto” e gli hanno impedito di “compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza” e in particolare “l’arresto tempestivo” della sua Fiat Bravo. “Non ho visto nulla, ad un certo momento ho sentito un botto sotto la macchina e ho sobbalzato, però ho continuato perché non ho visto nulla. Ho pensato: ‘Chissà che cosa ho preso’, una pietra”, ha dichiarato don Nicola nel corso del proprio interrogatorio ai pubblici ministeri di Bari. “Qualcosa che c’era in mezzo alla strada” ha detto di aver pensato il prete senza dare “peso a ciò che avessi potuto prendere, ma ai danni che avevo subito e al fatto che ero preoccupato di come tornare a casa”.
Il 54enne si è fermato a 238 metri di distanza dal luogo dell’incidente in un’area di servizio per chiamare la sorella e dove è stato raggiunto dal cognato. Afferma di non aver messo “in relazione” quanto “accaduto” nemmeno quando ha visto “in lontananza i lampeggianti” dei soccorritori giunti sul posto nel tentativo disperato di salvare la vita della 32enne.
“Ho pensato a un sasso, ma non ad una persona”. Versione a cui non credono gli inquirenti che hanno chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari. Non è “assolutamente possibile”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, che abbia “scambiato ‘per una pietra’” il corpo di Chiarappa dopo averlo sormontato “trascinandolo”. Ha “proseguito la marcia nonostante il sobbalzo” e il “faro acceso” della moto a terra.
Anche dalla stazione di servizio, quando era “palese cosa fosse successo” per la presenza di luci e ambulanza, ha mostrato “disinteresse per la sorte della giovane vittima”. Motivazioni per le quali il gip ha riconosciuto le esigenze cautelari del pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato. D’Onghia avrebbe “approfittato” del fatto di trovarsi in un “luogo isolato e buio” e quando il giorno dopo si è presentato spontaneamente ai carabinieri sapendo di “essere stato individuato” ha offerto una “collaborazione ingannevole”.


