Ci sono istanti nella storia in cui il cielo sembra chinarsi sulla terra, sfiorandola con un respiro divino. Quando accade, l’umanità intera si raccoglie in un silenzio carico di commozione. Così è stato nel giorno della Madonna, otto minuti dopo le sei del pomeriggio, quando la fumata bianca si è alzata nel cielo di Roma attraversando le mura secolari della Cappella Sistina.
Lo ha fatto qualche ora dopo che migliaia di fedeli, con un cuore solo e un’anima sola, hanno levato al cielo la Supplica alla Vergine del Rosario di Pompei. E non può essere un caso.
La storia, a volte, intreccia i suoi fili come un arazzo divino, rivelando simboli, presagi e misteri che superano l’umana comprensione.
Lo aveva profetizzato il cardinale Giovanni Battista Re, che dopo aver celebrato i funerali di Papa Francesco ha auspicato l’elezione del nuovo pontefice proprio dall’altare di Pompei, chiedendo ai fedeli di pregare per la scelta di un papa giusto per la chiesa e per l’umanità.
Il papa giusto è Robert Francis Prevost, nato sessantanove anni fa a Chicago, il 267esimo Pontefice della Chiesa Cattolica.
Lo Spirito Santo ha parlato, e i cardinali in conclave hanno ascoltato, scegliendo proprio lui nel giorno della preghiera che nacque dal cuore ardente di Bartolo Longo, profeta di carità, missionario di misericordia, apostolo del Rosario e fresco di santità per volere di Bergoglio.
Nel suo primo discorso al mondo, Papa Leone XIV ha pronunciato con forza e fermezza una parola che svela il significato del suo pontificato: Pace. Pace tra i popoli e nel mondo. E con voce ferma e commossa, ha detto che “Il male non prevarrà”, richiamando le parole stesse del Vangelo. Ha invocato giustizia, unità, e ha chiesto una Chiesa missionaria, capace di parlare al mondo con la gioia delle Scritture. Ma anche di costruire ponti e non muri.
Ha parlato degli ultimi, dei migranti, di chi cerca rifugio, consolazione e ascolto. Ha esortato ciascuno di noi a diventare testimone di carità, proprio come lo fu l’avvocato di Latiano che arrivò nella valle desolata di Pompei per annunciare speranza e redenzione con la corona del Rosario tra le mani.
Nulla è accaduto a caso nel giorno della Vergine di Pompei, nemmeno il nome del nuovo Papa. La scelta di Prevost è un omaggio a Leone XIII, il Pontefice che più di ogni altro amò e sostenne l’opera di Pompei. Il Papa delle dodici encicliche sul Rosario, colui che seguì passo dopo passo la missione di Bartolo Longo, che vide sorgere una chiesa tra le macerie, che sostenne un progetto rivoluzionario di giustizia sociale, dove il Vangelo si faceva carne tra gli orfani, i poveri e gli ultimi.
Fu Leone XIII a sostenere la grande visione di Bartolo Longo a credere che la città mariana potesse essere un laboratorio di carità e spiritualità, dove la devozione si traduceva in opere concrete, e la preghiera diventava azione.
Anche per questo Leone XIV ha voluto evocare Pompei nel suo primo discorso. Ne ha citato il nome, ha recitato l’Ave Maria, ha ricordato la Supplica, una preghiera che ancora oggi si leva potente come un canto universale di speranza.
Una supplica che, davanti a migliaia di fedeli accorsi all’ombra del campanile dedicato a Cristo e alla facciata monumentale innalzata alla pace, ha anticipato la voce dello Spirito che soffiava tra i cardinali riuniti in Conclave.
Pompei, ora più che mai, non è solo una città, ma un simbolo universale. È il cuore pulsante di una Chiesa che non dimentica i semplici. In quella preghiera di pace levatasi nel giorno della Madonna, si intravedeva già la strada che il nuovo Papa ha scelto di percorrere: una strada illuminata dalla fede, segnata dal Rosario, condotta dalla luce del Vangelo verso la pace.
E forse, in quella coincidenza che coincidenza non è, era già scritto tutto: il volto della Chiesa che verrà, l’anima del pontificato del primo Papa americano, e la chiamata rinnovata a stringersi attorno a Maria per costruire un mondo più giusto, più umano, più santo.