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Inter leggendaria, Pisa tra le grandi. Le imprese  dei fratelli Inzaghi
SPORT
12 maggio 2025
Inter leggendaria, Pisa tra le grandi. Le imprese dei fratelli Inzaghi
Michele Imparato

Nessuno credeva che quel matto di Simone diventasse un grande allenatore o che quell’egoista di Pippo insegnasse ai suoi attaccanti la gioia dell’assist: i fratelli Inzaghi erano due bomber anarchici, fuori dagli schemi, uniti dalla fame per il gol eppure, a distanza di trent’anni, le loro gesta in campo raccontano la parabola di due allenatori pragmatici, razionali e vincenti. Nel giro di tre giorni, la famiglia Inzaghi festeggia due volte. A ciascuno il suo traguardo: Simone ha centrato la qualificazione alla seconda finale di Champions League della sua carriera alla guida dell’Inter, Filippo ha portato il Pisa in Serie A dopo 34 anni di assenza. Due imprese storiche, entrambe unite dai colori nerazzurri delle due squadre. C’è stata un’epoca in cui i toscani hanno scritto pagine indelebili del calcio italiano tra il 1978 e il 1994, quella che comunemente viene ricordata come “l’era Anconetani”, dal nome del Presidentissimo che guidò il club per 16 lunghi anni. Romeo Anconetani, che ha legato a doppio filo la sua storia sportiva alla città della torre pendente, è stato uno dei personaggi più iconici della serie A, passionale e scaramantico (seminava il campo di sale prima delle partite) ma anche profondo conoscitore e innovatore,  una figura controversa con il suo carattere vulcanico e i modi talvolta burberi e impetuosi con cui si rapportava con allenatori, giocatori e giornalisti. Un’impresa, quella del nuovo Pisa, che rilancia in panchina l’ex bomber di Milan e Juve dopo alcune stagioni amare: “A Pippo ho fatto i complimenti cinque minuti dopo la fine della gara, in privato e ora li faccio in pubblico a lui, al suo staff, ai giocatori – aveva detto Simone nella conferenza stampa pre-Barcellona – il suo Pisa non partiva tra le favorite ma già nell’amichevole estiva avevo visto grandissima alchimia. Non arrivano per caso queste promozioni”. A tifare per lui c’era inevitabilmente Superpippo: “Ha un compito molto più difficile del mio, ma una semifinale di Champions è sempre gratificante. A proposito: ho visto Lamine Yamal, mi ha lasciato senza parole, è come Messi. Il Barcellona? Mi ricorda una semifinale con il Milan saltata contro di loro per una tonsillite, mi era dispiaciuto tanto. Adesso ci deve pensare Simone a batterli”. Missione compiuta. Il Corriere dello Sport ricorda come la storia di Pippo e Simone parta da lontano. Pippo inizia subito con il Milan, Simone subito con la Lazio. Entrambi fanno la gavetta tra Allievi e Primavera, poi il grande salto. Il tecnico rossonero paga di più lo scotto in un club alla continua ricerca di sé stesso. Quello biancoceleste invece, tra lo scetticismo generale, inizia un percorso che dopo 4 anni gli ha regalato 2 Supercoppe italiane e una Coppa Italia. Ha preso la Lazio nel giorno del suo 40esimo compleanno nemmeno a Roma, ma in ritiro a Norcia dopo una batosta nel derby. Alla sua prima gara casalinga contro l’Empoli, c’erano appena 18mila persone sugli spalti più suo fratello Pippo. Il bello del calcio, o forse l’essenza, sta nel legame di sangue tra i due Inzaghi. Anche nel 2019/2020 i fratelli dominarono il calcio italiano: la Lazio di Simone sconfisse il Bologna e volò prima in Serie A (salvo poi arrendersi all’Inter di Conte), il Benevento di Pippo invece era una macchina da guerra: 26 partite giocate, 19 vittorie, 6 pareggi e 1 sconfitta. Fra i due fratelli non c’è mai stata invidia, anzi un legame indissolubile, frutto dell’educazione impartita dai genitori, Marina e Giancarlo. Quando Pippo era re di coppe con il Milan sottolineava l’impresa di Simone capace di segnare un poker al Marsiglia in Champions nel 2000 (primo e finora unico italiano). Entrambi, come spesso hanno raccontato i protagonisti, riempiono la memoria del telefono dei genitori con le foto dei loro bambini. «Mio fratello è stato un esempio da giocatore e poi da tecnico. È uomo di principi. Poi da fratello maggiore mi veniva a controllare quando ero con gli amici e uscivo la sera. Lui è sempre presente anche se viviamo in città diverse e ciascuno di noi si è fatto la sua famiglia. L’amore fra noi non cambierà mai» dice Simone. «Sono sempre stato molto protettivo nei suoi confronti» ammette Pippo, che ha tre anni in più del ‘fratellino’. «Lo portavo con me al campo a San Nicolò. Se non avessero fatto giocare lui, allora non avrei partecipato nemmeno io. Il calcio ha bisogno di tecnici come Ancelotti e mio fratello» come a voler sottolineare l’importanza dell’empatia che Simone ha creato con il gruppo. Nelle altre foto di famiglia del calcio non possono mancare i fratelli Cannavaro: Paolo è stato capitano azzurro per un triennio, mentre Fabio non ha mai avuto il privilegio di indossare la fascia. In Olanda, i fratelli Ronald ed Erwin Koeman e Frank e Ronald De Boer sono stati le bandiere della nazionale arancione come i Laudrup, Michael e il minore Brian, per la Danimarca. Bernd e Karl Heinz Foerster formavano la coppia dei difensori centrali della Germania che nell’82 venne sconfitta dall’Italia nella finale del mondiale in Spagna.

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