Castellammare. Commissione d’accesso, indagini sbagliate nel 2010: l’ex avvocato sarà risarcito
Castellammare. Ci fu un errore nelle indagini svolte dalla commissione d’accesso che s’insediò a Castellammare di Stabia dopo l’omicidio del consigliere comunale Gino Tommasino. E ora, a distanza di 15 anni, il Comune è costretto a risarcire 42mila euro all’ex avvocato di Palazzo Farnese, che per quasi un anno dovette rinunciare a incarichi dirigenziali, così come disposto dalle prescrizioni del Ministero. E’ quanto stabilisce una sentenza della prima sezione del Tar del Lazio di pochi giorni fa, che fissa in 42mila euro, la cifra che dovrà essere riconosciuta all’ex avvocato comunale, a titolo di risarcimento. Una storia contorta, ricostruita nei dettagli dai giudici, che mette in evidenza anche alcune lacune di quel lavoro ispettivo che fu condotto a Palazzo Farnese dopo l’omicidio dell’esponente del Pd Gino Tommasino e si concluse con la decisione di non procedere con lo scioglimento del consiglio comunale. La commissione d’accesso che s’insediò al Comune di Castellammare di Stabia – così come si evince dalla sentenza emessa dalla prima sezione quater del Tar del Lazio, presieduta dalla dottoressa Rosa Perna – non chiese mai di ascoltare il dirigente che si occupava dei provvedimenti disciplinari, con le relative motivazioni, nei confronti dei dipendenti comunali. Una dimenticanza importante, tant’è vero che gli ispettori ministeriali solo alle 19.45 del 1 febbraio 2010 – giorno in cui doveva essere consegnata la relazione alla Prefettura di Napoli, che poi avrebbe dovuto formulare la richiesta al Ministero dell’Interno – chiesero una nota dettagliata sull’esito dei provvedimenti disciplinari a carico dei dipendenti. La nota fu consegnata dagli uffici competenti solo il giorno seguente e dunque non inserita nella relazione della commissione d’accesso che completò il suo lavoro nell’inverno del 2010. Ma in ogni caso, fu inviata successivamente alla Prefettura di Napoli che contestò «l’inadeguato e blando espletamento dei procedimenti disciplinari a carico di dipendenti», sottolineando in particolare l’omissione «ai fini dell’applicazione delle sanzioni disciplinari nei confronti di 13 dipendenti, in ragione del condizionamento indiretto prodotto dal contesto ambientale». Per questo motivo, il Ministro – pur senza rilevare motivi per lo scioglimento – dispose la rimozione di alcuni dirigenti, tra cui l’avvocato comunale. E il sindaco di centrodestra Luigi Bobbio, che nel frattempo aveva vinto le elezioni, succedendo a Salvatore Vozza, si attivò per far rispettare le prescrizioni del Prefetto, rimuovendolo dall’incarico di dirigente del primo settore comunale. Il problema è che anche questa ricostruzione – a conferma di un’indagine ispettiva evidentemente poco accorta – è risultata sbagliata, perché l’avvocato comunale aveva assunto l’incarico di dirigente del settore Affari del Personale, Uffici di Staff e vicesegretario generale, solo nel dicembre del 2007, mentre quindici dei diciotto provvedimenti disciplinari ritenuti «inadeguati e blandi», facevano riferimento a un periodo antecedente al suo incarico. Come spiegato dalla difesa dell’ex avvocato comunale «gli altri 15 procedimenti disciplinari erano già definiti in precedenza, intangibili in termini di autotutela, o i cui termini perentori per la conclusione del procedimento erano scaduti già in epoca precedente alla sua assunzione dell’incarico dirigenziale». Per questo motivo, la decisione di revocare gli incarichi dirigenziali per quasi un anno all’avvocato comunale fu illegittima e ora il Comune gli dovrà pagare un risarcimento da 42mila euro.


