Castellammare. Inchiesta Domino III: restano in cella i fedelissimi del boss e il suo colletto bianco
Inchiesta Domino III, blidate le accuse dell’Antimafia, restano in cella 9 degli 11 indagati. Il tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare in carcere per la moglie del boss Vincenzo D’Alessandro, Carmela Elefante, il figlio, Giovanni, Giuseppe Donnarumma e per il geometra Angelo Schettino. Hanno rinunciato alla pronuncia dei giudici Antonio Salvato, Vincenzo Spista, Ugo Lucchese, Giuseppe Oscurato, e il boss (già in cella in quanto indagato di essere il mandante di 4 omicidi) Vincenzo D’Alessandro. Il Tribunale del Riesame si pronuncerà all’inizio della prossima settimana sulle posizioni di Michele Abbruzzese, e su Fabrizio Sicignano, dipendente al comune di Ercolano. Gli 11 indagati sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, armi, e corruzione, e sono finiti in carcere nel corso dell’ultimo blitz scaturito dall’inchiesta dell’Antimafia denominata Domino III. Un’indagine partita dal ritorno al comando nel 2020 di Vincenzo D’Alessandro che comincia a imporre la sua legge fatta di violenza, minacce, controllo asfissiante del territorio e soprusi nei confronti di qualsiasi imprenditore gli finisse a tiro. Un atteggiamento da padrone della città, pronto a tutto per raggiungere i suoi scopi, chiaramente illegali. Un clima di terrore che riesce ad imporre anche e soprattutto grazie all’omertà di chi preferisce pagare il pizzo anziché denunciare, e alla collaborazione di professionisti che si mettono al servizio dei camorristi. Tra gli arrestati oltre al boss Vincenzo D’Alessandro c’è la moglie Carmela Elefante, che secondo l’accusa gestiva la cassa della cosca, e suo figlio Giovanni D’Alessandro, vecchi affiliati come Michele Abbruzzese e Ugo Lucchese, e fedelissimi del capoclan come Giuseppe Oscurato, Antonio Salvato, Vincenzo Spista e Giuseppe Donnarumma. Assieme a loro sono in carcere anche due professionisti: Fabrizio Jucan Sicignano, funzionario del Comune di Ercolano, e già con una lunga esperienza in molti degli enti locali del territorio, che secondo l’Antimafia avrebbe fatto da mediatore per un’estorsione; Angelo Schettino, geometra stabiese, molto addentrato all’Ufficio Tecnico del Comune di Castellammare di Stabia, che – secondo il pentito Pasquale Rapicano – gestiva le pratiche edilizie degli uomini della cosca ed era anche in grado di fornire informazioni riservate sul funzionamento delle telecamere, grazie ai suoi contatti negli uffici pubblici. Un castello accusatorio che ha retto intatto di fronte al verdetto dei giudici del Tribunale del Riesame.

