All’archeologa Silvia Bertesago abbiamo conferito il premio Metropolis 2025. Tra le motivazioni, il successo del Pompeii Children’s Museum, un progetto che in tre anni è diventato un fiore all’occhiello del Parco archeologico.
«Il vostro riconoscimento è un attestato di stima che ci rende orgogliosi, è l’ennesima dimostrazione del fatto che sia è compreso il senso della sfida che abbiamo lanciato insieme al direttore Gabriel Zuchtriegel».
Per tramandare e tutelare il patrimonio archeologico bisogna raccontarlo ai bambini, che saranno poi gli uomini di domani.
«Abbiamo rivoluzionato il servizio della didattica museale, che comprendeva solo le visite guidate per le scuole. L’idea è stata quella di sviluppare una didattica più ampia per coinvolgere più fasce d’età, proponendo una differenziazione a seconda del target. Una didattica in grado di proporre non solo nuovi percorsi, ma anche un presidio stabile all’interno degli scavi che diventasse punto di riferimento per tutte le attività didattiche».
Uno spazio per le scuole e per le famiglie.
«Uno spazio che è diventato punto di riferimento per la conoscenza del patrimonio archeologico custodito a Pompei e nei siti periferici. Uno spazio che promuove la conoscenza attraverso strumenti adeguati e specifici per un pubblico che non è solo adulto».
Il Museo dei bambini è solo uno dei tanti traguardi raggiunti negli ultimi anni. Dalla stagione dei crolli ad oggi sembra trascorsa un’eternità. Il patrimonio archeologico si è posto ormai al centro di un processo di rigenerazione del territorio che, sebbene lentamente, sembra andare avanti.
«Questo continuo sviluppo, questa continua innovazione dei servizi offerti ai visitatori sono frutto di un’indicazione che arriva da lontano. La stagione dei crolli ci ha posto di fronte ad una realtà cruda, abbiamo compreso che la storia ricevuta in eredità andava difesa e tutelata in maniera ancora più determinata. Gli interventi di messa in sicurezza hanno permesso il salvataggio di un patrimonio fragile e straordinario ed hanno posto le basi per il futuro. La fase emergenziale per fortuna si è chiusa, ma guai abbassare la guardia, sarebbe un errore madornale. Oggi ci sono innumerevoli attività di monitoraggio e di tutela, iniziative tese a tenere sotto controllo lo stato di salute dei nostri beni culturali che ci permettono di sviluppare anche nuove strategie per la valorizzazione e la promozione degli scavi. Come i nuovi servizi, appunto, che vanno incontro alle esigenze sempre più crescenti dei visitatori».
Visitare gli Scavi, oggi, è anche un’esperienza sensoriale. E non solo a Pompei. Stabia, per esempio, che lei dirige da qualche anno, sta uscendo finalmente dall’ombra.
«Stabia è un sito meraviglioso, al pari di Pompei, Oplonti e Villa Regina. Anche qui sono in cantiere progetti di valorizzazione e interventi di messa in sicurezza che assicureranno un futuro dignitoso al sito. E’ in corso quello che io chiamo un “master plan”, iniziato nel 2021 ed in pieno svolgimento. Recentemente sono stati eseguiti restauri a Villa San Marco e ne partiranno altri per Villa Arianna. Sono in corso progetti di conservazione, restauro e messa in sicurezza, progetti tesi a migliorare l’accessibilità e la fruizione del sito, senza dimenticare il potenziamento dei servizi per i visitatori, che negli ultimi anni iniziano ad apprezzare il sito anche grazie a tutte le attività di promozione legate a Pompei». Anche il numero chiuso introdotto a Pompei aiuta. Mettiamola così: raggiunto il limite di accessi, i visitatori vengono dirottati agli altri siti.
«Il numero chiuso a Pompei nasce per esigenze specifiche, per salvaguardare il tesoro archeologico nei periodi di sovraffollamento. Che sia un vantaggio per gli altri siti, questo può essere. Di certo, tutti i siti che fanno parte del sistema archeologico del Parco sono complementari. Ognuno ha la sua specificità, anche se condividono con Pompei una storia segnata dal tragico evento dell’eruzione. Visitare tutti i siti del Parco significa vivere per intero l’esperienza che ci ha donato la storia, aiuta a conoscere ed approfondire il passato di questa terra. Pompei, Oplonti, Stabia, Boscoreale, ma anche altri siti, messe insieme offrono una visione completa di questo territorio. Il nostro intento è spingere i visitatori a fare una visita complessiva, anche perché questo favorirebbe la loro permanenza per più di un giorno».
E poi, ragionare in maniera complessiva e sistemica è diventata un’esigenza in un territorio che spesso ha vissuto di campanilismo esasperato.
«Ragionare insieme è vitale, coinvolgere Comuni e province è fondamentale. Pompei significa Castellammare, Torre Annunziata, Boscoreale, Poggiomarino, persino Scafati. Per fortuna la visione sta cambiando e oggi il visitatore vive il patrimonio archeologico ma anche quello paesaggistico e ambientale, che sempre di più si sposa con la la ricchezza culturale e artistica».
E fare sistema vuol dire anche dare risposte all’esigenza di un turismo sostenibile che sia capace di distribuire in maniera virtuosa i flussi.
«Questa è la vera sfida: incanalare i flussi turistici anche in arie vergini, ma comunque ricche di storia e di bellezze, può essere un’operazione lungimirante della quale se ne apprezzerebbero i risultati tra qualche anno. Significherebbe alleggerire alcuni alcune aree dalla pressione e far decollare altre».
Stabia, per esempio.
«Certo. Anche Stabia. Come sta già avvenendo rispetto al passato, quando l’accesso alle ville era addirittura quasi precluso. La valorizzazione dei siti periferici è un’operazione illuminata da parte della direzione del Parco, migliora anche il rapporto tra i siti e i territori stessi, accresce il senso di appartenenza della comunità, aiuta ad affrontare e risolvere quei problemi sociali, urbanistici ed economici che attanagliano i territori dentro i quali “vivono” i siti. Si migliora l’educazione al patrimonio».
A proposito di Stabia e di patrimonio artistico, se dovesse rientrare il Doriforo dagli Stati Uniti, opera scippata a questa terra con una modalità rocambolesca, sarebbe una spinta straordinaria e un richiamo irresistibile per i visitatori.
«La crociata per riportare a Castellammare il Doriforo è sacrosanta e la partecipazione così accorata della comunità stabiese ci dà la cifra di quanto l’arte possa essere uno straordinario segnale identitario, uno strumento nobile per apprezzare la propria storia, una leva per generare sentimenti di sensibilità».
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