Quando il cielo diventa inferno: storie di voli che non sono mai arrivati
Succede sempre così. Un lampo improvviso tra le notizie, e il respiro si ferma. Un altro aereo è precipitato. Stavolta era un volo dell’Air India.
Le chiamano “scene devastanti”, e devastante è anche ciò che resta dentro, ogni volta che un aereo viene giù portandosi dietro i sogni e le storie di chi era salito a bordo.
Il Boeing 777 della compagnia Air India, partito dalla città indiana di Ahmedabad era diretto a Londra Heathrow, è precipitato poco dopo il decollo. I primi report parlano di una perdita improvvisa di potenza, seguita da un tentativo disperato di rientrare in aeroporto. Ma non c’è stato tempo. L’aereo si è schiantato in una zona densamente abitata, provocando morti anche a terra.
I soccorritori parlano di “scene strazianti”, mentre la Farnesina comunica che non c’erano cittadini italiani sul volo.
Ancora non si sa se la causa sia un guasto meccanico, errore umano o altro. Ma ciò che resta, tra i rottami fumanti, è il solito vuoto. Le valigie sparse, i sedili contorti, i ricordi delle persone che dovevano arrivare e non sono mai arrivate. E ogni volta che accade, tornano alla mente quelle altre volte. Le tragedie che hanno scritto pagine nere nella storia dell’aviazione civile. Come se il cielo stesso, a volte, decidesse di spezzarsi.
Ogni disastro aereo riapre le stesse domande: com’è potuto accadere? Poteva essere evitato? E poi, inevitabilmente, si guarda indietro. Perché il cielo, quando diventa inferno, lascia ferite che il tempo non sa chiudere. E così torniamo indietro, come se cercassimo risposte nel passato, come se ogni tragedia fosse una pagina di un racconto collettivo che ci riguarda tutti.
Per noi italiani c’è il DC-9 dell’Itavia, nel 1980. La notte di Ustica con 81 vittime. Un volo da Bologna a Palermo che si dissolve in mare. Per anni si è parlato di bomba. Poi è venuta fuori una verità scomoda, quasi indicibile: un missile. Un aereo civile abbattuto per errore, nel mezzo di un’operazione militare che nessuno ha mai voluto ammettere del tutto. Uno dei più grandi misteri italiani, e anche uno dei più grandi dolori.
Prima di Ustica c’era stata Ermenonville, nel 1974. Un DC-10 della Turkish Airlines che si spezza in volo vicino Parigi. Muoiono 346 persone per un portellone chiuso male. Sembra assurdo, eppure la manutenzione, le piccole cose, possono decidere il destino di centinaia di vite.
E poi Tenerife, 1977. Due Boeing 747, KLM e Pan Am. Una nebbia fitta, un equivoco nelle comunicazioni. Uno dei due decolla senza autorizzazione, e l’altro è sulla pista. Lo schianto è inevitabile. 583 morti. È la più grave tragedia aerea della storia.
Nel 1985, in Giappone, un altro 747 – volo Japan Airlines 123 – perde il controllo sulle montagne. Una riparazione sbagliata anni prima, e l’aereo non risponde più. Si schianta, e muoiono 520 persone. Solo quattro sopravvissuti. Quelle immagini, oggi, sono ancora scolpite nella memoria di un Paese intero.
E come dimenticare l’altro volo dell’Air India, nel giugno di quello stesso 1985. Era diretto a Londra anche quello. Una bomba lo fece esplodere in volo, sopra l’Atlantico: 329 morti. Fu terrorismo, e fu anche la dimostrazione che il pericolo non arriva solo dai guasti o dagli errori umani. A volte arriva da chi ha deciso di uccidere nel modo più atroce.
Poi ci fu l’11 settembre 2001. Quel giorno non ha bisogno di racconti. Tutti sanno dove erano. Quattro aerei dirottati, migliaia di morti, e un’umanità che improvvisamente ha sentito l’aria diventare arma. Le Torri Gemelle che crollano, un pezzo di Pentagono che esplode, il volo dirottato e abbattuto in Pennsylvania. Un incubo che ha cambiato il mondo, la sicurezza, le regole, il nostro rapporto con il volo.
E in Italia c’è stata un’altea strage: Linate, 2001. Neve e nebbia, un aereo che attraversa la pista senza accorgersene, e lo scontro fatale. 118 morti.
Più di recente, nel 2009, l’Air France 447, tra Rio e Parigi. Scomparso nell’oceano. Il mistero durò mesi. Poi si scoprì che furono i sensori ghiacciati a mandare in confusione i computer di bordo. E l’equipaggio, nel tentativo di salvare l’aereo, lo fece precipitare.
Nel 2014, due disastri colpirono la Malaysia Airlines. Il volo MH370 sparì nel nulla con 239 persone. Non è mai stato ritrovato del tutto. Il mondo intero si fermò, cercando pezzi, indizi, mappe. Nulla.
E qualche mese dopo, il MH17 venne abbattuto sopra l’Ucraina da un missile. Altre 298 vittime. Ancora una volta, il cielo fu usato come campo di battaglia. E oggi eccoci qui, di nuovo. Un altro volo, un altro elenco di nomi, un’altra lista di attese che non avranno arrivo.
Oggi tocca all’India, ma il dolore è globale. Perché il cielo è di tutti. Perché volare è ancora un atto di fiducia, fragile e potente insieme. Ci si stringe, davanti a queste notizie. E si capisce quanto ogni decollo sia un miracolo. Perché anche se il cielo sembra infinito, basta un istante perché diventi inferno. E in quell’istante, il tempo si ferma. E restano solo gli interrogativi, il dolore, le storie e il dovere della memoria.


