I tentacoli del clan D’Alessandro sui fondi dell’Unione Europea
«Basta con la droga, pensiamo alle cose serie. A Castellammare devono arrivare i finanziamenti europei». Aveva le idee chiare da sempre Vincenzo D’Alessandro, terzogenito del defunto padrino Michele D’Alessandro. La camorra, e gli affari del clan D’Alessandro, dovevano restare violenti, ma cambiare forma. Il traffico di droga assicura certamente montagne di soldi e potere sul territorio, ma ormai, con l’evolversi dei mezzi investigativi a disposizione delle forze dell’ordine, è diventato troppo rischioso. Carabinieri e polizia riescono a intercettare con maggiore facilità i carichi, ricostruendo inchieste che portano a pesanti condanne. Così, l’approccio del rampollo di Michele D’Alessandro è inevitabilmente cambiato. Provare un appalto truccato è molto più complesso: bisogna ricostruire l’intera rete di prestanome delle aziende del clan, dei dipendenti e dirigenti comunali corrotti, e dei politici al servizio della cosca. Inoltre, l’epoca recente è stata segnata da una pioggia di fondi europei per i Comuni del napoletano, che sono riusciti a intercettare centinaia di milioni di euro in finanziamenti. Cifre altissime, sulle quali – secondo i pentiti – il boss era determinato a mettere le mani. Il nuovo identikit del boss imprenditore emerge dai verbali allegati all’informativa Domino III, l’ultima maxi inchiesta dell’Antimafia, riferita al periodo tra il 2019 e il 2021. Erano gli anni del Covid, difficili per l’economia e per gli assetti criminali del clan D’Alessandro, che aveva visto per anni i suoi principali esponenti contemporaneamente dietro le sbarre. Il primo a uscire fu proprio Vincenzo D’Alessandro che, secondo l’Antimafia, aveva pianificato il suo ritorno al vertice già in carcere. I carabinieri del nucleo investigativo di Castellammare intercettarono in un colloquio con i familiari una frase rivelatrice: «Ora che esco è tutto mio». E così, secondo la ricostruzione degli inquirenti, è stato. Il segnale del suo ritorno al potere fu la visita ai familiari del cugino Giovanni D’Alessandro, alias Giovannone – attualmente libero e assolto nell’ambito dell’inchiesta Domino. Da quel momento, secondo l’Antimafia, Vincenzo ha assunto il pieno controllo del clan. L’indagine ricostruisce la nuova rete del boss, che poteva contare sul sostegno di vecchi affiliati come Michele Abbruzzese e Ugo Lucchese, ma anche su nuove leve fidatissime come Giuseppe Oscurato, Vincenzo Spista e Antonio Salvato. Oltre alle estorsioni, la DDA ha documentato gli interessi del clan nell’economia reale: un impero che spaziava dal settore ittico alle scommesse, dai patrimoni immobiliari alla ristorazione, passando per ditte di costruzione e pizzerie. Ma è su alcune trame ancora oscure che l’Antimafia continua a indagare. I pentiti parlano di un fidato emissario del clan che si recava regolarmente all’ufficio tecnico comunale per ottenere informazioni riservate sugli appalti. Si tratta del geometra Angelo Schettino, anche lui finito in manette nell’ambito di Domino III. Un insospettabile- è incensurato- ma che per l’Antimafia era al servizio del clan D’Alessandro. Intanto, nelle scorse settimane, sulla scrivania della Procura della Repubblica di Torre Annunziata è arrivato un nuovo esposto: si denuncia la presenza di soggetti estranei, senza alcuna autorizzazione, all’interno dell’ufficio tecnico comunale.


