Castellammare, il killer del clan D’Alessandro diventa scrittore e pubblica un libro
Un passato da killer spietato, l’arresto, poi la conversione all’islam e l’iscrizione all’università, la laurea con 110 e lode con una tesi autobiografica dove ha confessato gli omicidi che ha commesso. E infine quell’elaborato è diventato un libro in vendita sugli store online e nelle librerie. Sono le quattro vite di Catello Romano, 35 anni, condannato in primo grado all’ergastolo proprio su quei delitti che lui ha confessato anche in aula. Da sicario perfetto al servizio del clan D’Alessandro di Castellammare, a credente, passando per lo studente dai voti altissimi, sino a diventare scrittore. Il tratto comune che però unisce l’evoluzione «umana» di Romano è una: il killer non si è mai pentito, non è mai diventato un collaboratore di giustizia. Una storia controversa è che vede protagonista un ragazzino cresciuto dietro le sbarre delle carceri di mezza Italia. Romano è stato arrestato all’età di 19 anni, per l’aver partecipato all’agguato dell’ex consigliere comunale Gino Tommasino il 3 febbraio 2009. Un omicidio che ha cambiato per sempre la storia di Castellammare. Tre dei quattro componenti di quel gruppo di fuoco- Renato Cavaliere, Salvatore Belviso e Raffaele Polito- sono divenuti collaboratori giustizia. Tutti tranne Romano che in 15 anni ha mantenuto il silenzio prima di laurearsi con una tesi autobiografica poi diventata libro.
Il libro
«Fascinazioni criminali, autoetnografia di un ex camorrista» è il racconto autoetnografico della vita di Catello Romano. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Rubbettino. «La marginalità come condizione e non come alibi, la delinquenza come fascinazione e non come trappola, la scrittura come autoterapia e non come esercizio letterario: sono queste le tre strutture intorno alle quali Catello Romano ricostruisce, con il piglio del narratore e la precisione del chirurgo, la propria adesione alla malavita organizzata- si legge nell’introduzione- Romano attraversa gli anni della propria infanzia e dell’adolescenza selezionando le vicende che hanno fatto contemporaneamente da sfondo e da detonatore alle scelte che lo hanno condotto all’adesione alla camorra e poi, appena diciottenne, a una rocambolesca latitanza e infine all’arresto. È sulla soglia del carcere che il racconto si sospende, dopo aver rivelato fatti e narrato persone che dalle pagine della cronaca nera del Napoletano entrano così a far parte della trama fitta e drammatica della storia personale dell’autore. Il testo «non è un’autobiografia né un’apologia: adoperando l’autoetnografia – un metodo di scrittura codificato dalla Sociologia – Romano evoca traumi ed epifanie, incontri ed errori, delitti ancora inconfessati e rivolgimenti interiori. Una scrittura frutto di una palingenesi solitaria, irta di asperità e di possibili equivoci, generata dalla determinazione di un uomo che, dal silenzio della reclusione, invoca un riscatto culturale, morale, spirituale, sfidando chi legge a mantenere uno sguardo laico sul male che lo ha attraversato».
Il processo
«Il pentimento di Romano è solo fumo negli occhi, non ha mai accusato nessuno e va condannato all’ergastolo». Sono le parole del pm della Dda Giuseppe Cimmarotta nel corso della requisitoria del processo che si è tenuto con il rito abbreviato che ha poi portato alla condanna in primo grado all’ergastolo per Romano. Il killer era imputato dell’omicidio di Nunzio Mascolo e del duplice omicidio di Carmine D’Antuono e dell’innocente Federico Donnarumma. Accuse che a Romano sono state recapitate in carcere dove sta scontando la pena di 30 anni inflitta per l’omicidio di Gino Tommasino. Pasquale Rapicano nel 2020 si pente e dà il via alla nuova inchiesta della Dda sugli omicidi ordinati dal clan D’Alessandro tra il 2008 e il 2009. Nell’autunno del 2023 Romano si laurea e la sua tesi viene acquisita dall’Antimafia come prova. Nel maggio 2024 scattano gli arresti e in manette finiscono i colonnelli della cosca Paolo Carolei (condannato in abbreviato all’ergastolo per essere il mandante del duplice omicidio D’Antuono-Donnarumma), Sergio Mosca (a processo e accusato di essere il mandante dell’omicidio Tommasino), il boss Vincenzo D’Alessandro (a processo e accusato di essere il mandante dell’omicidio Tommasino, di Antonio Vitiello e del duplice omicidio D’Antuono-Donnarumma) e il killer Antonio Lucchese (condannato in abbreviato all’ergastolo per l’omicidio di Antonio Vitiello). Nel corso del processo Romano ribadisce le sue confessioni, e si scusa con le vittime. Per il gup Federica de Bellis però non basta ad evitare all’ergastolo e quindi, nel marzo 2025 gli infligge il fine pena mai. Ora, assistito dal suo legale Francesco Schettino, potrà chiedere un’attenuazione di quella condanna in Appello.
Il profilo criminale
La storia del killer irrudicibile, e che le informative di polizia descrivevano come “un sicario perfetto” inizia nel 2008 quando si avvicina al suo “mentore” Renato Cavaliere, oggi collaboratore di giustizia e allora a capo del gruppo di fuoco diretto, secondo l’antimafia, dal boss Vincenzo D’Alessandro. Quei mesi, tra il 2008 e il 2009, rappresentano una delle stagioni di sangue più cruenti della storia di Castellammare. Vincenzo D’Alessandro era appena stato scarcerato e il suo piano era quello di punire tutti coloro che avevano «tradito» il clan di Scanzano in sua assenza. Romano è uno dei protagonisti di quella stagione del terrore. Prima viene incaricato di dare fuoco a delle auto per minacciare le vittime di estorsione, poi pian piano il suo ruolo comincia a diventare sempre più importante. Renato Cavaliere, colui che lo ha cresciuto negli ambienti criminali, racconta che «più volte Romano gli diceva di voler fare di più». Così arriva la prima prova di sangue, quella di gambizzare un uomo, Catello Scarica. alias a’patan. Un compito che il baby killer compie alla perfezione così gli viene affidato un nuovo incarico: ammazzare Carmine D’Antuono. Anche quell’agguato va a segno ma Romano, preso dalla foga, ammazza anche un innocente, Federico Donnarumma, padre di famiglia disoccupato, colpevole di essere in quel posto solo per chiedere un lavoro nel deposito di bibite di D’Antuono. Passano poche settimane e Romano ammazza anche Nunzio Mascolo e infine, il 3 febbraio del 2009, partecipa all’omicidio del consigliere del PD, Gino Tommasino. Il 29 ottobre 2009, grazie all’inchiesta lampo per l’omicidio del politico dem, viene arrestato. Sembra intenzionato a pentirsi e viene trasferito in una località segreta. Inizia a parlare con l’allora pm dell’antimafia Claudio Siragusa, ma alla fine si rende protagonista di una clamorosa fuga e finisce per ritrattare tutto. Da quel giorno è rimasto in silenzio, incassando 30 anni di cella che sta scontando in diversi istituti penitenziari, sparsi per tutta la penisola. Nella tesi di laurea, ora diventata libro, confessa i delitti ma non accusa nessuno. Il baby killer, qualora passasse dalla parte della giustizia, potrebbe raccontare molto. Il suo pentimento potrebbe fornire nuovi elementi su quella stagione di sangue e magari svelare anche i retroscena dei rapporti tra camorra e politica, dato che quando finì in carcere per l’omicidio di Gino Tommasino, Romano aveva la tessera del Pd in tasca.

