Onore, sangue e clan a Torre Annunziata: duplice condanna per l’agguato «d’onore»
La sentenza Onore, sangue e clan Duplice condanna per l’agguato «d’onore» Agguato a Salvatore Iovene e Vittorio Nappi, la Cassazione conferma: fu «vendetta d’onore». La Corte ha posto la parola fine su una delle vicende criminali più drammatiche e simboliche di Torre Annunziata. I giudici hanno confermato le condanne a carico di Raffaele Gallo (14 anni) e Vincenzo Falanga (13 anni) per il tentato omicidio aggravato da premeditazione e porto illegale di armi, commesso il 27 gennaio 2017. A nulla sono valsi i ricorsi dei due imputati: le motivazioni della Corte d’appello di Napoli sono state ritenute «logiche, coerenti e fondate su un quadro probatorio solido». Una vicenda che affonda le radici nei legami familiari, negli equilibri tra clan e in un desiderio feroce di «lavare l’onore». Quel giorno, una Mercedes con a bordo Iovene e Nappi fu crivellata di colpi mentre usciva da un’abitazione. L’obiettivo, secondo quanto accertato, era Iovene, ma a rimanere gravemente ferito fu Nappi, colpito al torace. L’agguato fu eseguito da quattro persone su due scooter. Le armi utilizzate, secondo gli accertamenti, erano pistole di medio calibro ad alto potenziale offensivo. Alla base dell’attacco un dissidio familiare profondissimo. Raffaele Gallo è figlio di Francesco Gallo, boss del clan Gallo-Cavalieri, e di Patrizia Iovene, appartenente all’omonima famiglia. La donna, anni prima, aveva deciso di lasciare il marito per iniziare una relazione con un esponente apicale del clan Gionta, rivale storico del Gallo-Cavalieri. Questo gesto fu vissuto da Raffaele e dal fratello Mario come un tradimento imperdonabile. La famiglia Iovene, invece, scelse di non rompere i legami con Patrizia. Questo mantenimento di rapporti fu letto dai figli come una complicità intollerabile. Da qui la decisione - secondo le sentenze - di punire proprio Iovene, zio materno di Raffaele. Le indagini si sono basate in larga parte su intercettazioni ambientali e telefoniche tra membri della famiglia Iovene. In più occasioni, parlando tra loro, i familiari indicavano «Lello», inteso Raffaele Gallo, e «il gemello Vincenzo », riconosciuto in Vincenzo Falanga, come autori dell’agguato. Il Tribunale di primo grado, nel 2018, assolse entrambi per insufficienza di prove, sostenendo che le intercettazioni non erano riscontri certi ma solo sospetti. Tuttavia, la corte d’appello di Napoli ribaltò completamente quella sentenza: ritenne «granitico» il quadro probatorio, affermando che le intercettazioni dimostravano non solo la conoscenza diretta dei fatti da parte degli interlocutori, ma anche una sorta di ammissione implicita da parte degli imputati, mai smentita nonostante le accuse familiari. Particolarmente significativa una frase pronunciata dalla nonna di Gallo, intercettata mentre raccontava alla figlia che il nipote le aveva detto: «Io poi se lo volevo uccidere mi giravo e lo uccidevo ... tornavo indietro». I legali degli imputati hanno cercato fino all’ultimo di smontare l’impianto accusatorio, parlando di una «interpretazione forzata» delle conversazioni, della mancanza di fonti certe e dell’inconsistenza del movente. Ma la Cassazione ha ritenuto legittimo l’uso delle intercettazioni come prova piena e dimostrata la premeditazione, sulla base dell’organizzazione dell’agguato, della presenza di complici, della disponibilità di armi e dello studio delle abitudini della vittima. Infine, sono state escluse le attenuanti generiche: Gallo e Falanga non avrebbero mostrato alcun segno di pentimento né elementi positivi tali da giustificare una riduzione della pena. Questa storia è molto più di un semplice fatto di cronaca: è lo specchio di una città in cui gli equilibri tra affetti e potere, tra onore e violenza, si fondono in una miscela tossica. Come anche i legami più intimi possano essere risucchiati in una spirale criminale che cancella ogni senso del limite. E mostra, ancora una volta, quanto sia sottile la linea tra «famiglia» e «clan» in contesti dove la camorra si annida non solo nelle piazze, ma nei salotti e nei cuori delle case. Tentato omicidio a Iovene a Nappi, condannati Gallo e Falanga La vicenda all’interno di uno scontro familiare tra clan rivali


