Il report: «Le donne in Italia lavorano di più ma guadagnano di meno e vanno in pensione più tardi»
CRONACA
5 agosto 2025

Il report: «Le donne in Italia lavorano di più ma guadagnano di meno e vanno in pensione più tardi»

Gaetano Angellotti

Nel 2025, essere donna in Italia continua a significare guadagnare meno, lavorare di più e andare in pensione più tardi, con un assegno decisamente più basso. A confermare questa realtà, non sono semplici percezioni ma i numeri freddi dell’INPS, riportati anche nei più recenti articoli di testate affidabili come l’agenzia di stampa Ansa. Eppure, nei salotti televisivi e nelle pagine di molti quotidiani, il tema resta trattato con superficialità o addirittura ignorato. Secondo il Rapporto Inps 2025, le donne vanno in pensione più tardi rispetto agli uomini (65,5 anni contro 64, secondo i dati 2024), nonostante spesso abbiano carriere lavorative più brevi o discontinue. Il motivo? Maternità, cura familiare, part-time involontari. Il risultato è doppio: meno contributi versati e pensioni più basse. Nel primo semestre 2025, le pensioni femminili sono inferiori del 30% rispetto a quelle ma- schili. In media, una donna percepisce 1.009 euro al mese, contro i 1.449 euro degli uomini. Un divario che ha poco a che vedere con il meri- to o con il sacrificio: è il riflesso diretto di un sistema che non tiene conto delle diseguaglianze di partenza. Una delle responsabilità principali di questo squilibrio ricade sul mercato del lavoro: le donne italiane sono meno occupate (circa il 52% contro il 70% ma- schile) e più frequentemente impiegate in ruoli part-time, spesso non per scelta. Il gender pay gap è ancora tristemente presente: in alcune professioni, la differenza salariale raggiunge il 23-32%, a parità di ruolo e competenze. È ovvio, quindi, che questa frattura si rifletta anche nella fase previdenziale: meno salario significa meno contributi e di conseguenza pensioni ridotte. Il sistema previdenziale ignora completamente il lavoro non retribuito di cura, che in Italia continua a essere sostenuto per oltre l’80% dalle donne. Chi si ferma per accudire un figlio o un genitore malato, semplicemente scompare dal radar contributivo. Eppure, quel lavoro ha un valore sociale enorme, che lo Stato si limita a riconoscere a parole. Un caso esemplare è quel- lo dell’Opzione Donna, la misura che consentiva alle lavoratrici di andare in pensione anticipata accettando un ricalcolo contributivo dell’assegno. Dal 2023 in poi, questa misura è stata via via ridotta, fino quasi a scompari- re nella pratica: l’età di accesso è stata aumentata, le condizioni rese più rigide. Il numero di beneficiarie si è così abbassato drasticamente. Nel 2024, le pensioni anticipate femminili sono crollate del 23% rispetto all’anno precedente. Non si spiega abbastanza, ad esempio, che l’attuale sistema contributivo puro, entrato a regime per i più giovani, è penalizzante per chi ha carriere discontinue. Il rischio è quello di trasformare il diritto alla pensione in una concessione misera, specie per le donne. È inaccettabile infatti che in un Paese del G7, nel 2025, le pen- sioni femminili siano in media del 30–34% inferiori a quelle ma- schili e che il 64% delle donne pensionate rice- va meno di 750 euro al mese. Questi non sono numeri: sono sin- tomi di un fallimento. Non si può ignorare, inoltre, il peso della povertà previdenziale al femminile: con asse- gni così bassi, moltissi- me donne anziane re- stano economicamente dipendenti da mariti, figli o dallo Stato. L’au- tonomia finanziaria post-lavorativa è un miraggio per gran parte della popolazio- ne femminile over 65. Secondo recenti rile- vazioni, solo l’1,2% del- le pensioni femminili supera i 3.000 euro, mentre lo stesso vale per quasi l’8% di quel- le maschili. Questo significa che l’iniquità non solo esiste, ma si concentra proprio laddove dovrebbe es- serci maggiore tutela. In questo scenario, la riforma delle pensio- ni annunciata per il 2026 rappresenta una delle ultime occasioni per introdurre misu- re realmente eque. Le proposte sul tavolo includono: rivaluta- zione automatica delle pensioni basse, ricono- scimento più ampio dei contributi figurativi per periodi di cura, incentivi all’occupa- zione femminile sta- bile, e meccanismi di ricalcolo che tengano conto della disparità di partenza. Ma senza pressione sociale e me- diatica, anche queste promesse rischiano di restare carta. La que- stione pensionistica femminile non è un tema settoriale o tecni- co, ma una cartina di tornasole della giusti- zia sociale in Italia. E oggi, nel 2025, quella cartina ci dice che sia- mo ancora molto lonta- ni da una vera equità. Le donne non vogliono privilegi: vogliono un sistema che riconosca il loro lavoro, retribu- ito o meno, e che non le punisca due volte, prima nel mercato e poi in pensione