Il Vesuvio devastato dai roghi, un disastro studiato a tavolino
AGORÀ
10 agosto 2025

Il Vesuvio devastato dai roghi, un disastro studiato a tavolino

Raffaele Schettino

Il Vesuvio che brucia per giorni non è una disgrazia. Non è un incidente. Il Vesuvio che brucia per due notti è un atto deliberato, feroce e lucido. È un crimine. È un attentato al cuore della nostra terra, che all’alba di ieri si è risvegliata straziata da un fronte di chilometri di fiamme. Sono notti d’inferno, alle quali seguono i disperati tentativi di salvare il salvabile: le pinete ridotte a scheletri carbonizzati; gli animali, intrappolati, bruciati vivi nel loro stesso habitat; il cielo, denso di fumo tossico, che ha coperto tutto: case, strade, occhi, respiri. Le comunità alle falde del Vesuvio vivono l’incubo col fiato corto e le finestre chiuse. E intorno, solo paura e rabbia.

No, questo non è il gesto folle di qualche squilibrato. Non provate a farcelo credere. Questi è qualcosa di peggio. Dietro questo scempio ci sono mani esperte, mani che conoscono la montagna, che sanno dove colpire, quando farlo, come farlo. Sanno come essere devastanti, come sfiancare i soccorsi, come metterli in difficoltà. Sono mani esperte come  quelle che agirono nel 2017, quando nello stesso istante tutti i versanti del Vesuvio presero fuoco. Un déjà-vu criminale.

Il Vesuvio che brucia è il frutto di una regia che lavora contro lo Stato. Che rema contro le istituzioni. Che tradisce la propria terra, barattandola per un interesse oscuro, opaco e infame. Un interesse che, come sempre accade nei disastri “utili”, puzza di denaro. Di appalti. Di ricostruzioni. Di bonifiche. Di speculazioni. Il fuoco come strumento. Le fiamme come linguaggio. Il Vesuvio come ostaggio.

E intanto, il fumo che ha avvolto tutto, avvolge anche le coscienze. Perché con le fiamme sono esplose le domande. Perché i controlli non hanno funzionato? Sono servite le immagini delle telecamere? Perché si è intervenuti solo quando ormai era troppo tardi? E anche le parole del Prefetto di Napoli fanno riflettere. «I soldi per la prevenzione ci sono, poi dipende come si spendono», ha detto senza mezzi termini.

L’inchiesta della Procura della Repubblica presso il tribunale di Torre Annunziata è partita. Sul fronte dei reati ambientali, i magistrati hanno già dimostrato rigore e determinazione. Ma la giustizia da sola non basta. I cittadini chiedono finalmente pene severe ed esemplari per chi distrugge il territorio. Pene dure, certe, pubbliche. Perché il Vesuvio che brucia non è solo un danno alla natura. È un colpo al cuore dell’economia locale. Chi appicca un incendio così, non cancella solo alberi. Spezza interi ecosistemi, cancella paesaggi, memorie, tradizioni, produzioni. Uccide animali. Inquina l’aria e semina malattie. Avvelena il presente e rende sterile il futuro.

E vederlo bruciare per giorni oggi fa più male di prima, vuol dire che non se ne è ancora compresa l’importanza vitale per il territorio. Il Vesuvio non è solo un vulcano. È un’arca vivente di biodiversità. Un un tesoro naturale unico al mondo, dove convivono specie rare di piante, uccelli, mammiferi, insetti. Un patrimonio fragile, prezioso, che il mondo ci invidia. Uno scrigno dentro il quale ci sono  la nostra identità, le nostre radici, la nostra cultura, i nostri gusti e saperi antichi. Dai vini doc ai prodotti tipici coltivati su terra vulcanica, dalla biodiversità delle erbe spontanee alla bellezza ruvida e autentica dei suoi sentieri.

E’ un ecosistema economico, culturale, paesaggistico tutelato dal Parco Nazionale del Vesuvio, che proprio quest’anno ha compiuto trent’anni di attività. Sfigurarlo con il fuoco è una dichiarazione di guerra alla quale lo Stato deve rispondere con forza e determinazione. Senza sconti e senza compromessi. Per non diventare complice di un disastro insopportabile.