Il business del fuoco e delle emergenze
Ogni incendio è una ferita nel cuore della natura e spesso, dietro le fiamme c’è un affare. Il business del fuoco è una realtà perversa che prospera sulla distruzione: appalti sospetti, ricostruzioni, infiltrazioni malavitose. E chi guadagna sulla devastazione riesce spesso ad essere là dove meno te lo aspetti: tra la luce legale delle imprese e le ombre camorristiche. Il costo della lotta agli incendi è scioccante: Coldiretti stima che ogni ettaro bruciato costa oltre 10.000 euro, ma le cifre sono ben più salate. Milioni di euro in fumo tra spegnimento, bonifica e ripristino del territorio, una montagna di soldi ai quali si aggiungono quelli spesi per una prevenzione che evidentemente fa acqua.
Le cifre dicono che soltanto nel corso del 2025 il conto dell’emergenza incendi ha già superato i 186 milioni di euro . Ma non si tratta solo di soldi, in ballo c’è anche il potere. Le mafie italiane, camorra compresa, hanno fatto degli appalti il loro motore economico e anche in questo caso, per riuscirci si sono servite della complicità di colletti bianchi e insospettabili. Nelle aree colpite dalle calamità (e il terremoto in Irpinia ne è una degli esempi più plastici della storia), la ricostruzione ha visto la camorra dirigere gare, lavori, forniture, sotto copertura di normative emergenziali. Ma ci sono tanti altri esempi di recupero diventato terreno fertile per affari illeciti nei quali ha sguazzato certa politica e certa imprenditoria coltivando la cultura della corruzione e dello sperpero. In generale, è logico fare un ragionamento semplice e logico: chi specula sulle ricostruzioni ha evidentemente interesse che le distruzioni si ripetano ciclicamente.
Lo disse pubblicamente anche l’allora sindaco di Napoli ed ex magistrato, Luigi de Magistris: «Chi ha lucrato sull’emergenza incendi è pronto a lucrare anche sulle bonifiche e sul dissesto idrogeologico». Del resto, sul fronte incendi, la stessa Antimafia ha sollevato sospetti nella Sicilia dei disastri dove si ipotizzano accordi collusivi per gonfiare i costi del servizio antincendio aereo o perfino per incentivare incendi gravi che richiedano interventi massicci. Intanto, dalla discussione pubblica giungono testimonianze coraggiose che suggeriscono scenari inquietanti. C’è chi chiede di vigilare sul rischio di appalti pilotati, sulle imprese “amiche” che si aggiudicano lavori, sulle gare che spesso risultano poi truccate o pilotate anche grazie alle complicità istituzionali.
Si fa riferimento al business dei recuperi lucrativi, perché la distruzione genera opportunità nelle bonifiche, nel dissesto, nelle ricostruzioni. E si ipotizzano infiltrazioni silenziose, scenari inquietanti in cui imprese che si presentano pulite finiscono poi per celare legami criminali. Basti pensare all’inchiesta Dia su due appalti per la ricostruzione post-sisma a Casamicciola: 1,5 milioni di euro sotto la lente per possibili collegamenti mafiosi . Il business del fuoco è dunque uno dei punti d’incontro più pericolosi tra affari leciti e illeciti. E per fermarlo non bastano solo le tonnellate d’acqua che i canadair riversano sulle fiamme: servono trasparenza, controlli reali, governance chiara. Bisogna interrompere la catena che trasforma ogni incendio in una nuova fonte di guadagno. E’ una sfida etica al modello di sviluppo che vogliamo per il nostro Paese.


