Roghi senza giustizia. Migliaia di incendi e poche condanne
AGORÀ
13 agosto 2025

Roghi senza giustizia. Migliaia di incendi e poche condanne

Raffaele Schettino

L’Italia brucia puntualmente ogni estate. I boschi della Sardegna, le pinete della Calabria, le colline della Sicilia, le riserve del Lazio e migliaia di ettari di patrimonio naturale inceneriti anche in Campania. Ora sui Monti Lattari ora sul Vesuvio, ora su altri pendii. Ci sono migliaia di incendi e poche condanne. Una devastazione senza giustizia.

Ogni volta è uguale: il fumo riempie i polmoni, gli animali muoiono carbonizzati, le persone vengono evacuate, i paesi devastati e alla fine, oltre la cenere resta sempre la stessa domanda: chi sono i colpevoli? Secondo i dati di Legambiente, del Ministero e della Forestale, il 60% degli incendi boschivi ha origine dolosa. A fronte di 60mila incendi all’anno ci sono solo decine di gli arresti e ancora meno condanne. Una sproporzione che grida vendetta. Le pene previste dal codice penale vanno da 4 a 10 anni ma la l’applicazione concreta è quasi simbolica.

Per cambiare le cose dobbiamo cambiare l’approccio: convincerci che esistono organizzazioni criminali che proliferano nella zona grigia dei business collegati agli incendi, che si muovono in maniera subdola per interessi economici. Non diamo la caccia né a psicopatici con l’accendino in tasca né a camorristi piromani. E Vesuvio non è un’eccezione in questo scenario malato. Si brucia per liberare aree da vincoli paesaggistici, per far sparire discariche, per favorire rimboschimenti pilotati, per ottenere appalti di rigenerazione e bonifica, per destabilizzare territori economicamente deboli. Si brucia per creare emergenze utili a giustificare imponenti interventi pubblici e finanziamenti.

Eppure, c’è chi ancora rischia di minimizzare, chi, intenzionalmente o no, spostare il mirino che dovrebbe puntare le responsabilità, chi paventa motivazioni banali alla base dei disastri. Anche tra le istituzioni. Il vicepresidente della Camera, Sergio Costa, per esempio, ex ufficiale dei carabinieri, ex uomo-guida della Forestale, in prima linea nell’estate del 2017, quando il Parco Nazionale fu devastato da incendi multipli, scientificamente appiccati da una regia criminale. Costa ha detto: «A volte siamo portati a cercare moventi di grande livello criminale, invece spesso gli incendi sono appiccati da personaggi di basso profilo criminale che provocano disastri per fini miseri». Forse anche per questa convinzione sbagliata in quell’estate del 2017 fu arrestata una sola persona, reo confessa. Finì lì. Troppo poco.

La verità evidentemente è un’altra e oggi abbiamo la possibilità di strappare il velo che la nasconde. Stavolta i responsabili degli incendi che hanno devastato il Vesuvio, di nuovo simultanei, di nuovo sospetti, di nuovo studiati a tavolino, devono avere nomi e cognomi, devono avere un volto. Quello degli autori materiali e quello dei mandanti. Se questo non dovesse accadere avremmo tolto senso a tutte le iniziative di prevenzione e di tutela del nostro patrimonio, avremmo ridotto a farsa i dossier sull’Ecomafia. Avremmo creato le condizioni ideali affinché il crimine ambientale continui a proliferare.Un incendio non è mai solo «un po’ di bosco che brucia».

La devastazione del Vesuvio è un disastro economico, ambientale e umano e lo Stato deve rispondere con fermezza. Servono arresti e condanne ma serve anche indagare sul sistema della prevenzione, visto che, per dirla con le parole del prefetto di Napoli, «i fondi ci sono ma bisogna vedere come si spendono».Nel frattempo, fino a quando chi dà fuoco a un bosco potrà camminare libero tra le ceneri del suo crimine, non potremo parlare di vera giustizia ambientale.