West Nile, un caso italiano: serve maggiore prevenzione
BENESSERE
15 agosto 2025

West Nile, un caso italiano: serve maggiore prevenzione

metropolisweb

La gestione del virus West Nile, “non è solo una questione sanitaria, ma riflette sfide sistemiche nell’adattamento ai cambiamenti climatici e ambientali. Finché le politiche non si orienteranno verso strategie integrate a lungo termine che coinvolgano scienza, sostenibilità e coinvolgimento del cittadini, rimane una domanda: quanto dovremo ancora aspettare prima che la gestione del West Nile venga considerata una priorità strategica per la salute pubblica?”. A chiederselo è il gruppo ‘Gabie’ è l’hub per il monitoraggio delle epidemie creato da Massimo Ciccozzi, ordinario di Statistica Medica e Francesco Branda, ricercatore dell’Unità di Ricerca statistica medici, entrambi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma Insieme a loro Fabio Scarpa, professore associato di Genetica dell’Università di Sassari, in un articolo pubblicato su ‘Lancet Regional Health’ che analizza i focolai di West Nile in Italia nel 2025, in totale ad oggi 20 decessi e oltre 170 casi. “L’impennata dei casi di virus del Nilo occidentale a luglio 2025, superiore a quella delle stagioni precedenti, richiede una risposta sistematica e scientifica, piuttosto che allarmismo. Poiché la trasmissione avviene solo attraverso zanzare infette, non tramite contatto umano diretto, le strategie di controllo devono concentrarsi sulla riduzione delle popolazioni vettrici in modo da proteggere la salute pubblica e l’ambiente. Ciò include il monitoraggio continuo di zanzare, uccelli e animali per individuare i focolai di trasmissione e consentire interventi mirati”, analizza il gruppo. Il virus del Nilo Occidentale (Wnv), un virus trasmesso dalle zanzare della famiglia Flaviviridae, è diventato uno degli arbovirus più significativi in Europa. “Dall’epidemia del 1996, il Wnv si è diffuso in tutto il continente a causa di fattori ambientali, climatici e antropici come l’urbanizzazione, i cambiamenti nell’uso del suolo e l’aumento delle temperature estive. L’Italia è un caso di studio chiave, con un aumento dei casi umani e della diffusione geografica, soprattutto al nord, a dimostrazione della complessa interazione di questi fattori – sottolineano gli scienziati – Nonostante gli avvertimenti degli esperti e le linee guida sanitarie, la preparazione rimane inadeguata. I programmi di controllo dei vettori, essenziali per prevenire la proliferazione delle zanzare, vengono spesso ritardati o trascurati”. Il cambiamento climatico, “che dovrebbe fungere da allarme precoce, viene spesso trascurato, con il risultato di prolungare le stagioni di trasmissione – avvertono – Piuttosto che una pianificazione proattiva, la risposta al virus del Nilo occidentale è stata reattiva, priva di innovazione come il controllo biologico o strategie ecosostenibili. Il virus del Nilo occidentale è ora un esempio dell’incapacità di trasformare le esperienze passate in azioni a lungo termine. L’assenza di una strategia coordinata basata sul monitoraggio continuo e sull’intervento ecologico desta preoccupazione. La gestione locale rimane frammentata, spesso ricorrendo a misure a breve termine come i pesticidi chimici, che danneggiano gli ecosistemi e la biodiversità. Alternative sostenibili, come i predatori naturali delle zanzare o le tecniche di sterilizzazione, sono sottoutilizzate, nonostante i loro benefici a lungo termine” si legge nella ricerca che viene effettuata dagli esperti genetisti che stanno cercando di capire cosa sia realmente accaduto in queste zone. “Il controllo delle larve dovrebbe essere prioritario rispetto all’uso diffuso di adulticidi, poiché è più sostenibile ed efficace. Il trattamento delle acque stagnanti, un importante luogo di riproduzione delle zanzare, è fondamentale. Metodi innovativi, come l’introduzione di predatori naturali o l’impiego di zanzare sterilizzate, dovrebbero essere ampliati. L’educazione dei cittadini è altrettanto fondamentale: sensibilizzare l’opinione pubblica sull’uso di repellenti, zanzariere e riduzione dell’esposizione durante le stagioni di punta”, concludono gli scienziati. Intanto sono 35 i casi segnalati e acclarati dall’Asl Napoli 3 Sud che ha fatto scattare una campagna di disinfestazione soprattutto nella zona del Vesuviano dove si concentrano la maggior parte degli episodi.