Sensori da 1/1.1”, 8K fino a 50p e stabilizzazione pro: una cam a 360 gradi che cambia le regole del gioco
#DJI, TECNOMANIA
26 agosto 2025

Osmo 360, l’occhio sferico perfetto per i racconti dinamici

Gennaro Annunziata

C’è un prima e un dopo nel modo in cui si filma a 360 gradi e l’arrivo della prima 360 di DJI, leader nel settore dei droni, coincide esattamente con quella linea di demarcazione. Osmo 360 non è l’ennesima action cam con due obiettivi contrapposti, è un progetto pensato da cima a fondo per i creator che vogliono un flusso di lavoro fluido, immagini pronte all’uso ma anche margine per spingere su color e finishing, e soprattutto una piattaforma hardware che metta ordine in anni di compromessi.

DJI entra tardi rispetto ai pionieri del segmento, ma lo fa con un pacchetto sorprendentemente maturo, dove le scelte tecniche dichiarate sulla carta si traducono in un comportamento coerente sul campo, e dove l’ecosistema fa davvero la differenza.

Partiamo dal cuore, perché è lì che si capisce la cifra del progetto: una coppia di sensori HDR quadrati da 1/1.1″, che, per copertura sferica, equivalgono a un classico 1″, con pixel grandi 2,4 μm e ottiche con apertura f/1,9. L’idea è sofisticata nella sua semplicità: per la mappa circolare di ciascun fisheye il rettangolo tradizionale spreca area utile ai lati; il formato quadrato sfrutta meglio la superficie sensibile, riduce consumo energetico e emissione di calore, offrendo margine di qualità in condizioni miste.

Nei nostri test questa impostazione ha avuto un effetto concreto sulla resa e sui tempi di registrazione elevati anche alle alte risoluzioni, con i 100 minuti continuativi dichiarati in 8K/30 (a 6K/24 si arriva fino a 190 minuti) che fissano un riferimento di categoria e liberano dall’ansia di dover spezzare le riprese lunghe.  Anche l’opzione 8K/50 a 360 gradi apre possibilità reali sul piano narrativo: poter girare in 8K con framerates “cinema-friendly” e poi rifinire in D-Log M offre una base ricca, flessibile, che regge bene correttivi di contrasto e saturazione senza sgretolarsi nei dettagli fini dei controluce.

Il fatto che a 360 gradi si possano spingere i frame rate fino a 4K/100 per gli slow motion più puliti torna utile nelle clip ad alto tasso di vibrazioni in cui una frazione di secondo in più aiuta a mantenere leggibilità d’azione, mentre in modalità a singolo obiettivo la macchina si comporta da action camera completa, con 5K/60 per il racconto lineare e un 4K/120 in Ultra Wide Boost a 170° che non è un semplice “effetto grandangolo”, ma un vero modo di mettere lo spettatore dentro la scena senza avere troppa distorsione periferica. Disponibili anche i profili creativi: Selfie (1:1) fino a 4K/60p o 3K/120p e Vortex fino a 4K/240p.

La combinazione tra ampia gamma dinamica, pixel grandi e D-Log M fornisce files che tollerano bene sia la compressione per il web che un minimo di color grading creativo per le versioni da proiezione. E la sensazione di margine resta anche nelle condizioni più sfavorevoli, come zone d’ombra intervallate da lame di sole basso o lampioni in notturna;

in SuperNight, il rumore cromatico è contenuto e i mezzitoni non collassano, così è possibile raccontare una città alle due di notte con una tessitura che resta credibile e non “digitale” a colpo d’occhio.

In termini di costruzione, la macchina è più compatta (61×36,3×81 mm) di quanto ci si aspetta leggendo la scheda, pesa 183 grammi, si impugna bene e soprattutto è ben bilanciata: il centro ottico è vicino al punto di montaggio e questo riduce l’effetto pendolo con i selfie stick più lunghi e con i supporti estesi da casco e telaio bici.

L’impermeabilità IP68 fino a 10 metri copre la fotografia sferica in acque calme e la pioggia battente in moto, ma va ribadito ciò che abbiamo letto anche nei comunicati stampa ufficiali: DJI sconsiglia l’uso subacqueo per i video a 360  anche per i noti problemi di stitching che l’acqua introduce (la rifrazione crea artefatti lungo la giunzione); si può scendere, ma il racconto “sotto” non è il suo campo d’elezione finché non arriveranno soluzioni dedicate. È un avvertimento onesto e, dal nostro punto di vista, preferibile a promesse generiche sulla robustezza in mare che poi costringono a lunghe sessioni di correzione in post produzione. In ogni caso, per l’avventura terrestre, la tropicalizzazione e la resistenza al freddo fino a –20 °C fanno il loro dovere.

La parte più “DJI” della Osmo 360, quella che ci fa dire che è un prodotto nato dentro un ecosistema maturo, è la coerenza fra hardware, accessori e audio: il sistema magnetico a sgancio rapido rende i passaggi tra supporti semplici e veloci, il braccio telescopico invisibile sparisce davvero nelle riprese sferiche senza bisogno di mascherature a mano, e la connessione diretta ai due trasmettitori microfonici della famiglia OsmoAudio permette finalmente quel salto di qualità nelle interviste itineranti che altre 360 avevano sempre promesso senza mantenerlo fino in fondo.

La possibilità di regolare guadagno e riduzione del rumore con un’interfaccia chiara e di registrare in 24 bit in coppia con Mic 2 o Mic Mini non è una finezza da audiofili ma un vantaggio pratico quando la voce deve restare credibile mentre attorno c’è vento, folla o rumori.

Laddove non si ricorre a microfoni esterni, la quad-microfonia integrata di Osmo 360 ha comunque una risposta al fruscio e alle folate che riteniamo “onesta”: non fa miracoli, ma fornisce un audio di un livello che, per una 360 prima generazione, non era affatto scontato.

Un discorso a parte meritano stabilizzazione e gestione software, perché qui DJI mette sul tavolo due strumenti che da soli valgono il prezzo del biglietto.

HorizonSteady tiene l’orizzonte inchiodato anche quando il supporto balla o ruota, mentre RockSteady 3.0, in modalità a lente singola, elimina i micro-sfarfallii tipici delle attività ad alto impatto senza ridurre i dettagli.

Poi c’è il “dopo”, ed è forse la parte che ci ha convinto a considerare Osmo 360 non come un gadget ma come un potente strumento: la coppia di software Mimo e Studio copre quasi tutti i passaggi del racconto sferico contemporaneo.

In Mimo, su smartphone, si controlla, si scarica, si vede l’anteprima e si pubblica in velocità con l’auto editor che capisce pattern di azione; in Studio, su desktop, si lavora davvero, con keyframe, tracking, filtri ed export in coda, oltre al plugin per Premiere che riduce i problemi per chi già monta in ambiente Adobe.

Il GyroFrame consente di riorientare la narrazione a 360 usando i movimenti come “penna” e il tracciamento intelligente riesce a stare agganciato senza i salti tipici delle prime generazioni.

Una dotazione che rende questa camera non solo “buona quando c’è luce” ma pronta a fare l’ultimo miglio in sala di montaggio, dove si decide il ritmo della storia.

Quanto a display e comandi, il touch, un OLED 16:9 da 2,0″ con risoluzione 314×556 e 800 nit, che resta leggibile sotto sole diretto, dialoga con tre pulsanti fisici che col tempo si memorizzano: accensione e cambio modalità senza incertezze, shutter con un click che acusticamente si fa sentire anche attraverso i guanti e un terzo tasto per invertire la vista delle due camere.

Per quanto riguarda la connettività ci sono Wi-Fi 6 (802.11 a/b/g/n/ac/ax) per trasferimenti rapidi, BLE 5.1 per l’abbinamento allo smartphone e USB 3.1 per lo scarico via cavo.

La memoria integrata è un’altra caratteristica che si rivela più utile del previsto: con 105 GB disponibili on-board abbiamo coperto un pomeriggio intero di riprese itineranti senza tirar fuori la microSD, e nei giorni in cui si gira “leggeri” poter scaricare via USB-C in diretta sul portatile senza dover cercare adattatori è un bell’aiuto. Nota importante: quando lo storage interno si satura la registrazione si ferma senza switchare automaticamente sulla scheda; conviene quindi montare da subito una microSD capiente, fino a 1 TB, e considerare la memoria interna come un paracadute non come il serbatoio principale.

Il file system è exFAT e il bitrate massimo in ripresa arriva a 170 Mb/s; i formati video sono OSV (per il flusso panoramico da rifinire in Mimo/Studio) e MP4/HEVC per l’uso diretto: quando si parte da OSV, l’export passa dalla pipeline DJI Mimo/Studio prima del NLE (Editor non lineare).

Dal punto di vista della compatibilità, per operare su Android abbiamo dovuto installare Mimo scaricandolo dal sito DJI e non da Google Play Store, scelta che ormai fa parte della storia recente del brand cinese e che pur non essendo problematica in sé, resta un piccolo freno psicologico per chi si affida esclusivamente agli store ufficiali.

Sul tema autonomia ed efficienza energetica, la teoria del sensore quadrato che “spreca meno area” si riflette nella pratica in due aspetti: temperatura d’esercizio più controllata e tempi di registrazione più lunghi.

DJI dichiara 100 minuti in 8K/30 e, nel nostro uso dinamico all’aperto, non abbiamo mai avuto interruzioni per thermal throttling; nelle prove statiche d’interno invece siamo riusciti a riprodurre il comportamento tipico di tutte le 360 contemporanee, ovvero uno stop per surriscaldamento intorno alla mezz’ora registrando in 8K a 25 fps in un ambiente a 25 °C. È un dato che contestualizza bene i numeri della scheda tecnica: la continuità in 8K/30 è assolutamente fattibile all’aperto o comunque con un minimo di ventilazione, mentre riprendere un monologo in studio in piena estate a 8K senza ventole o interruzioni è chiedere troppo a qualunque corpo così compatto.

La ricarica della batteria da 1.950 mAh via PD è rapida e il 50% in 12 minuti, spostandosi tra una location e l’altra, è raggiungibile nel mondo reale; se si sceglie la “Adventure Combo” la dotazione di batterie Extreme Plus e la charging case che funge anche da power bank consentono di coprire senza problemi una giornata piena.

Parliamo di qualità d’immagine, che è poi quello che interessa più di tutto, al di là dei numeri. La resa a luce diurna ha una lucentezza che non sconfina mai nell’effetto artificiale; la micro-struttura nelle foglie, la pelle sulle mezze figure e la lettura dei neri in ombra stanno insieme senza “scollarsi”, e l’impressione di nitidezza non è il frutto di uno sharpening aggressivo quanto di una catena che tiene il dettaglio vero e lascia spazio al resto. In 8K D-Log M, portando le clip su una timeline 4K, il riposizionamento del frame è un piacere: si possono fare ingrandimenti generosi, disegnare movimenti di camera virtuali armonici e mantenere un 4K senza artefatti. In notturna la modalità SuperNight fa esattamente ciò che promette: recupera dettaglio senza strappare la trama del buio, non fa sparire il rumore ma lo rende più uniforme e quindi meno invasivo, e nei controluce urbani mette ordine nelle transizioni delle insegne a LED, che è uno dei punti in cui gli algoritmi meno maturi finiscono per “sbavare”.

I 120 MP per gli scatti sferici fotografici sono, di fatto, una rete di sicurezza estetica: quando il racconto chiede un fermo immagine a piena risoluzione, la base c’è e regge anche stampe generose o crop per web.

Nel racconto d’uso vogliamo spendere una parola sul “come” questa 360 si inserisce nelle routine di produzione. Con il manico invisibile montato e la stabilizzazione a bordo, possiamo girare sequenze in terza persona che sembrano fatte da un operatore esperto, evitando la tirannia dell’inquadratura “a braccio” e ottenendo una qualità che gli spettatori non percepiscono come effetto speciale.

Il passaggio da obiettivo anteriore a posteriore in registrazione continua è una chicca per i vlog on-the-go.

I gesti per start/stop e il controllo vocale funzionano bene, e quando si lavora in solitaria riducono i tempi morti. Il montaggio ad alta precisione, che in Studio si manifesta come una timeline su cui i tagli non diventano ferite, abbassa la curva d’apprendimento per chi viene dal video “piatto”. L’editing multipiattaforma, con Studio su Mac e Windows e il plugin per Premiere, evita incroci di export e reimport, e soprattutto toglie la paura di “essere legati” a un’unica app mobile. Per gli utenti che amano il controllo, il 10 bit in D-Log M è una garanzia assoluta; per chi invece pubblica in velocità, i profili “Normal” regalano colore e contrasto gradevoli out-of-camera e non chiedono per forza passaggi ulteriori. In altre parole, Osmo 360 è una camera che non impone il suo modo d’uso ma si allinea al nostro.

La Osmo 360 è disponibile su Amazon in due configurazioni pensate per profili d’uso distinti. La Combo Standard (479,99 euro) è l’ingresso naturale nell’ecosistema: offre tutto l’essenziale per iniziare a girare e a montare subito, con una dotazione che privilegia compattezza e semplicità.

La Combo Adventure (629,99 euro), più ricca di accessori per un uso intensivo in esterni, aggiunge Invisible Selfie Stick da 1,2 m, due batterie Extreme Plus, Multifunctional Battery Case 2 e accessori a sgancio rapido che riducono i tempi di set-up tra supporti diversi.

L’ecosistema di accessori opzionali è già ampio e include staffe magnetiche, cornici e gabbie di montaggio, supporti adesivi e morsetti per superfici complesse, bracci snodati e prolunghe, protezioni lente dedicate, custodie e naturalmente l’integrazione diretta con i microfoni della famiglia OsmoAudio (Mic 2, Mic Mini). Per una protezione aggiuntiva è disponibile DJI Care Refresh, un’estensione di garanzia che copre i danni accidentali, inclusi urti e contatto con l’acqua, e prevede sostituzioni rapide dietro versamento di una franchigia. Una tutela che ha senso considerare già al momento dell’acquisto (costa 28 euro per 1 anno o 46 euro per 2 anni, con sostituzioni rapide a 28 euro ciascuna), particolarmente consigliata per una 360 dall’uso spesso “ruvido” e con lenti esposte.

Chiudiamo con un giudizio che tiene dentro l’entusiasmo e le riserve. Osmo 360 è la 360 che ci aspettavamo da DJI e, più in generale, è la 360 che ci piacerebbe avere quando non vogliamo rinunciare a qualità e controllo. Ha punti di forza tecnici, a partire dai sensori quadrati e dall’8K che serve davvero in post produzione, e un corredo software/accessori che profuma di ecosistema e non di add-on. Ha anche difetti chiari, il più evidente dei quali è la non sostituibilità delle lenti e un carattere termico che chiede scelte sagge nelle riprese statiche più lunghe.

Pesando pro e contro, il piatto pende però dalla parte giusta. Per i videomaker che già vivono nell’ecosistema DJI, la compatibilità con batterie, supporti e microfoni è una ragione in più per adottarla; per chi entra ora nel mondo 360, la curva d’ingresso è meno ripida di quanto non sia mai stata finora.

L’occhio sferico di Osmo 360 è davvero un occhio narrante: sta dove vogliamo che stia, vede ciò che serve per costruire un racconto, e si lascia guidare senza opporre resistenza. È così che dovrebbe comportarsi una 360 moderna. E questa Osmo 360, oggi, lo fa.

Gennaro Annunziata