Omaggio a Jodice, il fotografo della luce e della memoria
L'ARTE DELLA MEDITAZIONE
1 novembre 2025
L'ARTE DELLA MEDITAZIONE

Omaggio a Jodice, il fotografo della luce e della memoria

Maestro del bianco e nero, mise Napoli al centro delle sue sperimentazioni. La sua opera non era votata alla bellezza ma all'intensità. Disse: «I miei miracoli avvengono nella sperimentazione della camera oscura»
Raffaele Schettino
  • Napoli, culla e specchio dell’artista
  • L’incontro con l’arte contemporanea
  • Il linguaggio della memoria
  • Le grandi opere: Napoli, Mediterraneo, Eden
  • Il maestro della luce e il suo insegnamento
  • La meditazione sul tempo
  • Lo sguardo sui volti: dignità e verità
  • La Napoli di Jodice: tra memoria e attualità
  • Mediterraneo e mito: storia e eternità
  • Riconoscimenti internazionali e retrospettive
  • La filosofia dello sguardo
  • L’eredità di Mimmo Jodice

 

Napoli, il Mediterraneo, la memoria e la pietra. In questi elementi si può leggere l’intera vita di Mimmo Jodice, fotografo e pensatore della luce, scomparso all’età di 91 anni. La sua morte segna la fine di un’epoca per la fotografia italiana e internazionale, ma allo stesso tempo celebra un’eredità che continuerà a parlare attraverso le immagini, come testimonianze silenziose di un mondo che scorre e resiste. Jodice non è stato semplicemente un grande fotografo. È stato un poeta del bianco e nero, un maestro della lentezza, un mediatore tra passato e presente, un interprete della sue terra e della natura mediterranea. La sua opera è un dialogo tra luce e ombra, tra memoria e contemporaneità, un invito a fermarsi e osservare ciò che altrimenti sfuggirebbe.

 

Napoli, culla e specchio dell’artista

Nato nel 1934 a Napoli, Mimmo Jodice cresce tra i vicoli e i palazzi antichi di una città sospesa tra modernità e tradizione. Napoli, con le sue contraddizioni e i suoi paradossi, diventa il primo e più profondo soggetto della sua arte. Nei vicoli del centro storico, tra le pietre scrostate e le scale che salgono verso il cielo, Jodice sviluppa un senso estetico che unirà documento e poetica, cronaca e visione. In un’intervista degli anni Novanta dichiarò: «Napoli è una città che parla da sola. Io cerco solo di ascoltarla con gli occhi». Nei suoi scatti non c’è il frastuono del quotidiano, ma l’essenza dei luoghi: finestre aperte sul silenzio, portoni chiusi che suggeriscono storie invisibili, cortili dove la luce sembra scorrere come un fiume lento. I suoi lavori documentano proprio questa Napoli sospesa: Vedute di Napoli (anni Settanta) mostrano una città senza figure umane, dove l’architettura e la luce diventano protagoniste assolute. Ma accanto a queste immagini metafisiche, Jodice realizza anche ritratti di napoletani autentici: bambini che giocano nei vicoli, pescatori al porto, anziani affacciati ai balconi. Qui la sua capacità di osservazione emerge nella sua forma più umana: volti segnati dal tempo, gesti quotidiani, dignità nel vivere. Critici come Italo Zannier hanno sottolineato come Napoli sia stata per Jodice una scuola permanente, un laboratorio di luce e materia, dove ogni angolo di muro, ogni statua, ogni vicolo custodiva una lezione di fotografia e di vita.

 

L’incontro con l’arte contemporanea

Jodice non proviene da scuole di fotografia ufficiali. La sua formazione è autodidatta, ma immersa in un contesto artistico vivace e internazionale. Lui stesso dirà di aver preso spunto dalle immagini dei libri di arte che sfogliava da bambino. Negli anni ‘60 entra in contatto con artisti dell’avanguardia come Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini e il gallerista Lucio Amelio. Collabora alla documentazione delle loro opere, diventa interprete e testimone di una nuova estetica, quella dell’Arte Povera e della sperimentazione concettuale. In quegli anni realizza lavori sperimentali come Interventi (1969-1971) e Attesa (1969), dove la fotografia diventa materia concettuale: sovrapposizioni, inversioni tonali, fotomontaggi. Non fotografa più solo ciò che vede, ma ciò che pensa, creando un dialogo tra immagine, tempo e concetto. Germano Celant, storico dell’arte e curatore dell’Arte Povera, descrive Jodice come: «Un fotografo che pensa come un artista, per il quale la macchina fotografica è uno strumento di meditazione».

Il linguaggio della memoria

Il bianco e nero è il cuore della sua poetica. Non si tratta di un’estetica, ma di una filosofia: togliere il colore per restituire l’essenza, eliminare il superfluo per concentrare lo sguardo sulla luce, sulla forma, sul tempo. «Il colore distrae. Il bianco e nero toglie il superfluo, lascia solo la struttura, l’essenza. È un linguaggio di silenzio», diceva. Nelle sue fotografie, ogni scatto è meditazione, ogni pausa è ascolto. Non c’è fretta, non c’è ansia di documentare. Jodice attende, osserva, costruisce. Il suo tempo è il tempo della riflessione, il tempo necessario a cogliere l’anima di ciò che fotografa. Critici internazionali, tra cui Susan Sontag, hanno notato come Jodice trasformi la fotografia in un atto contemplativo, un dialogo tra memoria e presente: non immagini da consumare, ma esperienze da vivere.

 

Le grandi opere: Napoli, Mediterraneo, Eden

Tra le opere più importanti di Jodice, la serie Vedute di Napoli è una pietra miliare. Qui la città diventa un laboratorio di luce, materia e memoria. Strade deserte, portoni chiusi, piazze vuote, cortili illuminati dal sole: una Napoli sospesa tra realtà e sogno. Ma non manca la Napoli viva: nei suoi ritratti di quartieri popolari emerge la sua capacità di cogliere la dignità e la poesia del quotidiano. I volti dei bambini, degli anziani, dei lavoratori, sono trattenuti dalla macchina fotografica senza mai essere giudicati. La loro verità è restituita con rispetto e amore, senza retorica né spettacolarizzazione. Libri come Napoli: tempo e luoghi (1980) e Eden (1999) testimoniano questa doppia anima: la città come architettura e memoria, e la città come corpo e vita. Il vero capolavoro di Jodice è la serie Mediterraneo (1995), accompagnata dai testi di Predrag Matvejević. Qui il fotografo viaggia lungo le sponde del Mare Nostrum: Pompei, Paestum, Grecia, Egitto, Siria. Le immagini non documentano semplicemente i luoghi, ma li trasformano in simboli di storia, mito e memoria. «Il Mediterraneo è il mio luogo dell’anima”, scriveva Jodice. “Non fotografo per documentare, ma per cercare l’impronta dell’uomo nella pietra, nella luce, nel silenzio». Le statue frammentate, le colonne antiche, il mare immobile diventano soggetti senza tempo. Jean-Luc Monterosso, direttore della Maison Européenne de la Photographie, lo definì: «Il fotografo che fa esistere di nuovo il mondo, come se lo vedessimo per la prima volta». Con Eden (1999) e Isolario Mediterraneo (2000), Jodice approfondisce la dimensione simbolica della natura e del mare. Eden esplora la purezza e il silenzio dei paesaggi naturali, mentre Isolario Mediterraneo riflette sul mare e sulle isole come metafore di solitudine.

 

Il maestro della luce e il suo insegnamento

Dal 1970 al 1996, Jodice insegna fotografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Qui forma generazioni di fotografi italiani e internazionali, trasmettendo non solo tecnica, ma soprattutto filosofia dello sguardo. «Fotografare non è vedere, è capire. E capire richiede tempo», ripeteva ai suoi studenti. Era un maestro esigente, severo ma generoso. Lontano dai riflettori del mercato ogni immagine deve essere ponderata, ogni scatto meditato, ogni luce interrogata.

 

La meditazione sul tempo

Negli anni Duemila, Jodice realizza opere come Transiti (2008) e Attese (2010). Qui il tema del passaggio e della dissolvenza diventa centrale: figure e paesaggi emergono dal buio, attraversati da un tempo sospeso, quasi religioso. La fotografia non racconta. Suggerisce. Il resto lo fa il cuore di chi guarda,” affermava Jodice, ribadendo la sua convinzione che la macchina fotografica fosse uno strumento di mediazione tra l’essere umano e il mondo, e non un semplice mezzo di registrazione. In Transiti, la luce taglia l’ombra come un filo invisibile che lega la memoria al presente; in Attese, le figure emergono appena dal buio, sospese in una dimensione che sfida il tempo lineare. Questi lavori consolidano la sua fama internazionale come uno dei più grandi interpreti della fotografia concettuale e poetica del nostro tempo.

 

Lo sguardo sui volti: dignità e verità

Oltre ai paesaggi e agli scenari urbani, i ritratti costituiscono una parte fondamentale della sua opera. Jodice ha sempre cercato la verità del volto, quella dimensione che va oltre la fisicità per cogliere la storia, la fatica, la gioia o la malinconia racchiusa negli occhi di ciascun soggetto. In Napoli come nel Mediterraneo, Jodice privilegia gli sguardi autentici: il pescatore, l’anziana seduta sulla soglia, il bambino che gioca tra i vicoli. Le fotografie non sono mai invadenti; il fotografo non forza il soggetto, ma attende il momento in cui la vita si manifesta spontaneamente. Critici come Enrico Crispolti hanno notato come la sua capacità di osservazione restituisca una dignità universale a chiunque compaia nel suo obiettivo, trasformando il quotidiano in poesia visiva.

 

La Napoli di Jodice: tra memoria e attualità

Per Jodice Napoli non è mai solo sfondo o decorazione: è un laboratorio permanente di storia, cultura e resistenza. La città diventa metafora di fragilità e forza, decadenza e vitalità. Nei vicoli stretti, nelle piazze vuote, nei monumenti che sopravvivono all’incuria, Jodice individua un filo invisibile che collega il passato al presente. Un esempio emblematico è la serie Vedute notturne (1985), dove la luce artificiale dei lampioni trasforma la città in un palcoscenico surreale: ombre lunghe, prospettive improbabili, architetture che sembrano sospese. La Napoli di Jodice non è mai banale: ogni immagine rivela un dettaglio inatteso, un gioco di contrasti tra antico e moderno, tra pietra e carne viva, tra ombra e luce.

 

Mediterraneo e mito: tra storia e eternità

Il Mediterraneo è stato un tema centrale della sua riflessione artistica. La serie omonima, ma anche Eden e Isolario Mediterraneo, mostrano il mare non solo come luogo geografico, ma come spazio simbolico: culla della civiltà, testimone di conflitti, focolare di leggende e miti. Jodice fotografa colonne antiche, templi frammentati, coste isolate, trasformando il paesaggio in un luogo atemporale. Secondo Predrag Matvejević, che ha collaborato con Jodice per i testi delle mostre: «In ogni immagine si sente la storia del mondo, ma anche la delicatezza di chi sa che il tempo è fragile». Le immagini mediterranee non sono mai documentarie: non illustrano, non catalogano. Sono meditazioni visive, luoghi dell’anima, spazi dove il passato convive con il presente e la memoria diventa materia concreta.

 

Riconoscimenti internazionali e retrospettive

Il lavoro di Mimmo Jodice ha ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo. Ha esposto nei più importanti musei e gallerie: dalla Maison Européenne de la Photographie di Parigi al Museum of Modern Art di New York, fino alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Le retrospettive dedicate a Napoli, al Mediterraneo e al suo lavoro concettuale hanno sempre riscosso un enorme successo, sia per la qualità delle opere sia per la profondità della riflessione che esse evocano. Critici come Hans-Michael Koetzle hanno sottolineato come la sua fotografia unisca il rigore tecnico all’intensità emotiva: «Jodice non fotografa ciò che si vede, ma ciò che si sente. È un mediatore tra la realtà e il sogno, tra la storia e il presente».

 

La filosofia dello sguardo

Al centro della poetica di Jodice c’è la riflessione sul tempo, la memoria e la luce. La sua fotografia non è immediata: richiede attesa, pazienza e partecipazione. Egli stesso ha detto: «Fotografare è un atto di responsabilità. Non puoi rubare la realtà, devi attendere che ti si mostri». Questa filosofia si manifesta in ogni fase del suo lavoro: nella scelta del soggetto, nell’attesa della luce perfetta, nella costruzione dell’inquadratura, nello sviluppo in camera oscura. La fotografia, per Jodice, è meditazione, esperienza, riflessione. Non un gesto tecnico, ma un atto di attenzione profonda verso il mondo e le persone.

 

L’eredità di Mimmo Jodice

Con la sua scomparsa, il panorama fotografico internazionale perde una voce unica. Ma l’eredità di Jodice è straordinariamente viva. I suoi libri, le sue mostre, le sue lezioni continuano a ispirare giovani fotografi e appassionati d’arte. La sua visione della fotografia come atto contemplativo e poetico, la sua capacità di trasformare Napoli e il Mediterraneo in spazi simbolici, rimangono punti di riferimento imprescindibili. La sua opera ci insegna che la fotografia non è soltanto registrazione: è memoria, tempo sospeso, osservazione, amore per il mondo.