Lysistrata e Filumena Marturano, la furbizia contro il potere maschile
TEATRO RIVOLUZIONARIO
8 novembre 2025
TEATRO RIVOLUZIONARIO

Lysistrata e Filumena Marturano, la furbizia contro il potere maschile

Pur appartenendo a epoche diversissime, condividono un messaggio di emancipazione femminile. Il teatro insegna che le donne possono essere agenti di cambiamento
Rita Inflorato

Ci sono sipari che non calano mai, storia che scuotono le coscienze e danno luce alle ingiustizie. E’ la forza del teatro che diventa denuncia, che riesce ad annodare epoche diverse e protagonisti distanti. Lysistrata e Filumena Martrano, per esempio. Pur appartenendo a epoche e culture diversissime, condividono un messaggio forte di emancipazione femminile, lotta per la dignità e trasformazione dei rapporti di potere tra uomini e donne. Entrambe le protagoniste mostrano che le donne, spesso relegate a ruoli secondari, possono diventare agenti di cambiamento. Lysistrata nasce dalla mente di Aristofane, Filumena Marturano  prende vita dalla genialità di Eduardo de Filippo.

 

Lontane nel tempo, certo, ma vicine per la forza con cui sfidano un ordine che le vorrebbe passive, silenziose e invisibili. Entrambe si ribellano al potere maschile usando l’astuzia. Entrambe ancora insegnano valori profondi. Entrambe ancora parlano a noi giovani. Nell’antica Grecia, Aristofane racconta la sua Lysistrata: una donna che, stanca del massacro e della devastazione, si ribella con un gesto potente che diventa un autentico atto politico. Organizza uno sciopero del sesso per porre fine ai conflitti fra Atene e Sparta.

 

In un’epoca in cui le donne sono relegate al silenzio, lei trasforma il corpo femminile in leva di potere. Lo sciopero del sesso è un gesto paradossale e feroce nella sua semplicità: rifiutare l’intimità per costringere gli uomini a negoziare la pace. Lysistrata usurpa la scena, chiama le sue sorelle ad unirsi per un gesto rivoluzionario che non agisce soltanto su un piano simbolico: la sua protesta è azione. Lysistrata rappresenta un appello alla solidarietà femminile, alla consapevolezza che il corpo (che tante volte è stato campo di oppressione) può diventare strumento di liberazione. E strumento di liberazione è anche la storia di Filumena Marturano, che prende corpo dalla genialità di Eduardo nella Napoli del dopoguerra.

 

Una donna che ha conosciuto umiliazioni, povertà, sfruttamento, ma che reclama il suo diritto di essere madre e di essere riconosciuta come soggetto dotato di dignità. In comune con Lysistrata c’è la difesa della maternità. Lysistrata parla del dolore delle donne di veder partire i propri figli per la guerra. Filumena Marturano lotta per il loro riconoscimento. E come l’eroina di Aristofane, Filomena sfida la società con il grido di chi non accetta di essere ridotta a oggetto. Prostituta, madre, donna tradita e disprezzata, non accetta il destino che le viene imposto. Non chiede oro, non cerca pietà: chiede solo riconoscimento, rispetto, giustizia. La sua lotta è quella di una madre che vuole il riconoscimento del suo ruolo, una donna che vuole ottenere giustizia per sé e per i suoi figli, che non si piega di fronte a un mondo che l’ha umiliata per venticinque anni.

 

La sua determinazione, la sua capacità di resistere e di lottare per i diritti che le spettno, la rende un simbolo di emancipazione femminile. La sua battaglia non è solo contro l’uomo che l’ha sfruttata, ma contro una società che considera le donne come esseri inferiori, destinate solo a ruoli di sottomissione. Proprio nel teatro di De Filippo i copioni diventano òotentissimi strumenti di denuncia, mezzo per tramare connessioni tra il personale e il politico. De Filippo dice: «Voglio che il teatro sia una cosa viva: legata alla verità della vita: voglio che denunzi e accusi». Questo è il patto con il suo pubblico, teatro non era intrattenimento sterile, ma verità che ferisce e scuote. Filumena, nel suo momento più alto, afferma: «Io non sono una donna da poco».

 

In quelle parole c’è tutto: la rivendicazione di una dignità, il rifiuto di essere sminuita, il riconoscimento del proprio valore. È un momento di esplosione morale, in cui si fa chiaro il senso della sua lotta. E in quel momento, il teatro non è più solo finzione: è ribellione. È piazza. È rivoluzione. Lysistrata e Filumena usano mezzi che non appartengono al linguaggio delle armi o della violenza diretta: la ribellione si radica nel corpo, nella parola, nella solidarietà. Entrambe mostrano che la protesta più potente non è quella che distrugge, ma quella che mobilita l’umanità, che riscrive il rapporto tra corpo e potere. E se il teatro è il linguaggio che racconta questa lotta, è anche il nido delle possibilità. Quando lo spettatore assiste a Lysistrata o a Filumena si trova davanti a una memoria vivente, a un intreccio che parla del passato e del presente. Lo spazio teatrale diventa una sala d’attesa per il futuro, uno spazio in cui riscoprire la forza del dialogo tra arte e cambiamento.

 

Ed è al presente che dobbiamo restituire la forza di queste storie. Perché ancora oggi, in ogni angolo del mondo, le donne vivono sotto l’ombra delle disuguaglianze. Nei Paesi dove l’istruzione per le ragazze è limitata, milioni di giovani donne vengono escluse. In molte nazioni, il diritto all’aborto è sotto attacco, lasciando le donne senza autonomia su sé stesse. Le violenze di genere e domestiche continuano a strappare via vite. Le disuguaglianze salariali persistono anche nei paesi più avanzati. Le donne sono ancora sottorappresentate nelle stanze del potere politico e aziendale, spesso considerate seconde rispetto agli uomini.

 

In alcune realtà, non hanno voce, non hanno protezione, non hanno diritti. Eppure, come Lysistrata e Filumena, molte donne continuano a resistere, a rivendicare, a denunciare. Ogni donna che alza la voce, ogni gesto di ribellione, ogni realtà che viene portata alla luce contribuisce a fare del mondo un «teatro di giustizia». Dal palco, Lysistrata e Filumena, due donne separate da secoli, continuano a parlarci, indicandoci che il vero potere del teatro non è solo raccontare la verità, ma cambiare il corso della storia.