Noemi e la foto sbagliata dell’assassino. Quando la fretta travolge gli innocenti
La cronaca che è seguita al femminicidio di Noemi Riccardi deve far tremare i polsi a chiunque lavori nell’informazione. Per un caso di omonimia decine di organi di stampa, locali e nazionali, hanno pubblicato la foto di un giovane totalmente estraneo ai fatti che ha la sfortuna di avere nome e cognome del fratello della vittima, da ieri sera in manette con l’accusa di aver ucciso la ragazza.
Il giovane che non ha nulla a che vedere con il femminicidio sta vivendo un incubo personale: insieme al suo avvocato, sta trascorrendo ore a contattare redazioni, agenzie e siti affinché rimuovano una foto che non sarebbe mai dovuta comparire a corredo delle cronache dell’efferato delitto. E questo rende l’idea di quanto un errore giornalistico possa impattare sulla vita di un innocente.
Un errore che deve rappresentare un «caso-scuola», che impone riflessioni serie e costruttive, che richiama l’informazione al suo senso di responsabilità, ai suoi doveri più elementari: verificare, appurare, costruire con certezza i fatti, senza quella maledetta fretta di arrivare primi in Rete in una stupida gara che non porta né utili né medaglie.
Ancor di più oggi sono convinto che l’informazione credibile sia totalmente incompatibile con i tempi dettati dai social, che debba avere il coraggio di smarcarsi dalle logiche degli algoritmi. E pazienza se perde seguito. Questo episodio è la prova, l’ennesima, che la velocità non è un valore quando compromette la verità. Che la qualità e la credibilità sono pilastri deontologici, prima ancora che professionali. E l’informazione deve avere il coraggio di non barattarli con nulla al mondo. Un tema che riguarda l’intera categoria: l’Ordine dei Giornalisti, le redazioni, i singoli cronisti.
Se sacrifichiamo i nostri principi per le logiche social non solo stiamo sbagliando: stiamo tradendo il nostro ruolo sociale, che resta ancora fondamentale. Il giornalismo ha bisogno dei suoi tempi, deve avere sempre il dovere della verifica, del dubbio, della prudenza. E quando in gioco ci sono volti e nomi, quel dovere deve diventare un imperativo morale.

