Campania, Regionali amare. Metà degli elettori starà a casa e molti saranno giovani
VERSO IL VOTO
21 novembre 2025
VERSO IL VOTO

Campania, Regionali amare. Metà degli elettori starà a casa e molti saranno giovani

Giovani disillusi: «Non siamo un gregge. La politica non parla più la nostra lingua». Un sondaggio Ipsos‑Doxa stima una partecipazione che oscillerà tra il 44 e il 50%. Addirittura più bassa del 2020, quando fu del 48,9%
Asia Schettino e Alessandra Boccia
  • I sondaggi sull’astensione
  • Il confronto con il passato
  • Le cause 
  • Giovani disillusi
  • Il declino della politica
  • Divario territoriale
  • Disequilibrio democratico
  • Impossibile recuperare
  • I giovani esclusi
  • Un linguaggio diverso
  • Non siamo un gregge
  • Realtà deprimenti
  • Cosa vorremmo

 

Alla vigilia del voto per le Regionali in Campania la vera preoccupazione che serpeggia anche tra i candidati resta l’astensione. I dati dei sondaggi più recenti raccontano un quadro più che allarmante: la fuga dalle urne, già alta negli ultimi anni, sembra destinata a consolidarsi come un fenomeno strutturale, destinato a influenzare in maniera decisiva l’esito del voto. Come dire: il rischio che il prossimo governatore possa essere scelto dalla minoranza degli elettori è più che concreto.

 

I sondaggi sull’astensione
Secondo le rilevazioni più aggiornate, meno della metà degli aventi diritto si dichiara intenzionata ad esprimere una preferenza. Ipsos‑Doxa, in un sondaggio diffuso di recente, stima una partecipazione che oscillerà tra il 44 e il 50%, confermando un trend discendente che dura da oltre un decennio. Anche altre agenzie confermano numeri simili, segnalando un aumento degli indecisi e di coloro che dichiarano la propria intenzione di astenersi. Il fenomeno riguarda trasversalmente tutti i segmenti dell’elettorato, con una concentrazione particolarmente evidente tra i giovani.

 

Il confronto con il passato
Se si confrontano questi dati con le elezioni regionali precedenti, il quadro diventa ancora più allarmante. Nel 2010, la partecipazione registrata in Campania fu del 59,5%; nel 2015 scese al 54,7%; nel 2020 si attestò al 48,9%. Il progressivo calo della partecipazione elettorale evidenzia un trend chiaro: ogni tornata vede un numero crescente di cittadini lontani dalle urne. Gli ultimi sondaggi indicano che, se la tendenza dovesse confermarsi, la prossima elezione regionale potrebbe segnare il minimo storico della partecipazione, con poco più di quattro elettori su dieci nei seggi.

 

Le cause
Le cause di questo fenomeno sono complesse. Da un lato, la disillusione verso la politica istituzionale è sempre più radicata. Gli scandali, la percezione di inefficienza e la distanza tra le decisioni politiche e le vite quotidiane dei cittadini alimentano un senso di estraneità. Dall’altro, le difficoltà economiche e sociali giocano un ruolo significativo. In una regione in cui la disoccupazione giovanile resta tra le più alte del Paese e dove le opportunità di mobilità sociale appaiono limitate, la politica viene spesso percepita come un meccanismo distante, incapace di incidere concretamente sulle scelte di vita.

 

Giovani disillusi
Non a caso, i giovani sono il segmento più esposto all’apatia elettorale. I dati mostrano che tra gli under 30 la percentuale di chi dichiara l’intenzione di votare si ferma intorno al 30-35%, un divario significativo rispetto alla media regionale. Questo indica non solo un problema di partecipazione immediata, ma un deficit di radicamento civico che può avere effetti a lungo termine sul tessuto democratico. La perdita progressiva di interesse politico tra i più giovani rischia di produrre una rappresentanza sempre meno corrispondente alla composizione reale della società.

 

Il declino della politica
Storicamente, la Campania ha alternato fasi di partecipazione elevata a periodi di calo significativo. Negli anni ’80 e ’90, le elezioni regionali registravano affluenze superiori al 70%, sostenute da un forte radicamento partitico e dalla centralità dei partiti nella vita quotidiana. Con il mutare della società e la crisi dei partiti tradizionali, soprattutto dopo Tangentopoli e le successive riforme politiche, la partecipazione è cominciata a diminuire in maniera costante. La disintermediazione politica, l’ascesa dei movimenti civici e l’aumento dell’offerta elettorale hanno contribuito a frammentare l’elettorato, con conseguente aumento degli astensionisti.

 

Divario territoriale
Un altro elemento da considerare è il divario territoriale all’interno della regione. Le province più interne e meno urbanizzate mostrano un tasso di partecipazione più stabile, mentre le grandi città e le aree metropolitane evidenziano cali più marcati. Napoli e la sua area metropolitana, ad esempio, storicamente motore elettorale della regione, negli ultimi anni ha visto un aumento consistente degli astensionisti, segno che la distanza tra politica e cittadino si fa più evidente dove la complessità sociale e urbana è maggiore.

 

Disequilibrio democratico
Gli effetti di un’alta astensione vanno oltre il mero dato numerico. Quando una larga parte della popolazione non partecipa, la legittimazione del governo regionale si riduce, e la rappresentanza tende a riflettere solo gli elettori più motivati o più radicati. Questo crea un disequilibrio democratico, in cui le decisioni politiche rischiano di rispondere solo a una parte della società, con conseguenze significative sul piano sociale e sulle politiche pubbliche.

 

Impossibile recuperare
Le previsioni dei sondaggisti indicano che, senza interventi mirati, la tendenza non è destinata a invertirsi. Ma essendo agli sgoccioli di questa campagna elettorale è plausibile pensare che non ci saranno scossoni né iniziative illuminanti in grado di dare una spallata all’astensionismo. Ovviamente la crescita del «Non voto» non riguarda solo i partiti o i candidati: è un problema della democrazia campana. L’attenzione degli osservatori si concentra oggi su possibili misure per stimolare la partecipazione, come campagne di informazione, strumenti di voto più accessibili e iniziative di cittadinanza attiva che coinvolgano direttamente i cittadini, soprattutto i più giovani.

 

I giovani esclusi

I giovani guardano la politica e vedono un mondo lontano, costruito su slogan e promesse vuote. Una distanza reale tra chi decide e chi dovrebbe vivere le conseguenze di quelle decisioni. E così, chi vorrebbe capire, chi vorrebbe partecipare, resta a guardare, scettico e disilluso. Noi giovani sentiamo di non contare. Non c’è spazio per dubbi, domande, approfondimenti. Tutto è ridotto al messaggio veloce, al post virale, allo slogan. È facile manipolare le emozioni, ma difficile trasmettere contenuti reali, capacità di ascolto e chiarezza nelle scelte. La politica ci appare come uno spettacolo, un reality senza regole in cui chi partecipa non è protagonista, ma spettatore passivo. Parlare di lavoro senza affrontare la precarietà, la mancanza di opportunità e l’impossibilità di progettare il futuro produce solo rabbia. Parlare di scuola e università senza ridurre le disuguaglianze e valorizzare competenze e merito significa parlare a vuoto. Parlare di ambiente senza misure reali di tutela e prevenzione significa ignorare la quotidianità di chi vive città inquinate e territori trascurati. Ogni tema diventa solo un manifesto da esibire, senza sostanza, senza concretezza.

 

La disillusione

Noi giovani non disertiamo le urne per pigrizia o apatia, ma perché percepiamo la politica come incapace di parlare la nostra lingua. Il linguaggio burocratico, le frasi fatte e la propaganda non generano fiducia ma distanza. Il risultato è una generazione che osserva, giudica, ma non partecipa, perché partecipare sembra inutile se le risposte non arrivano. Questa disillusione è il frutto di anni in cui i problemi reali dei giovani sono stati ignorati. La precarietà lavorativa, la difficoltà di avere una casa, l’accesso limitato alla cultura, la frustrazione per il mancato riconoscimento delle competenze: tutto questo non trova spazio nel dibattito politico.

 

Non siamo un gregge

Noi giovani non vogliamo spettacolo. Vogliamo chiarezza. Vogliamo capire le conseguenze delle scelte politiche. Ma non è solo un problema di linguaggio, è un problema di approccio. La politica continua a funzionare come se i giovani fossero un blocco indistinto, manipolabile e pronto a seguire il gregge. La realtà è diversa: i giovani vogliono leggere tra le righe, analizzare, discutere. Vogliono avere voce nelle decisioni, vogliono partecipare in modo consapevole, non solo attraverso un clic o un voto condizionato dall’ennesima promessa vuota.

 

Realtà deprimenti

La disillusione cresce anche per le differenze tra le promesse elettorali e la vita reale. Lavori instabili, città trascurate, servizi pubblici inadeguati. Percezione di insicurezza. E tutto questo sembra lontano dalle priorità della politica. E questo rafforza un senso di estraneità: la politica non ci riguarda, la politica non ci parla. In questo quadro, la partecipazione diventa un atto di coraggio: scegliere di informarsi, scegliere di votare, scegliere di credere che sia possibile cambiare le cose. Ma quanto più la politica si allontana dai temi concreti, tanto più il numero di giovani che resta a guardare cresce. La distanza si consolida, e con essa la sensazione che le istituzioni siano un mondo chiuso, distante, incapace di dialogare con chi dovrebbe essere il futuro della società.

 

Cosa vorremmo

La richiesta è semplice, ma quasi mai ascoltata: concretezza. Spiegazioni, fatti, scelte chiare, programmi seri. Non servono slogan, non servono promesse generiche, non serve spettacolo. Serve una politica che sappia parlare al presente dei giovani, che sappia affrontare le difficoltà reali, che sappia dare strumenti e opportunità concrete per crescere, imparare, lavorare e costruire un futuro. I giovani vogliono contare. Capire. Partecipare. Guardando il panorama politico, vedono solo parole vuote e distanze insormontabili. E finché le cose rimarranno così, la disillusione non sarà un fenomeno passeggero: sarà la cifra del loro rapporto con la politica.