Quando l’arte trasforma i luoghi: lo Jago Museum nel rione Sanità
Napoli. La folla sembrava respirare all’unisono quel 20 maggio 2023, quando la chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi ha riaperto le sue porte dopo decenni di silenzio. C’era un’atmosfera sospesa, come se l’intero Rione Sanità avesse trattenuto il fiato in attesa di un ritorno. Poi, l’ingresso del pubblico: migliaia di persone attratte non solo dalla curiosità, ma dalla sensazione che quel luogo, finalmente restituito alla città, stesse per inaugurare un nuovo destino. La chiesa, rimasta per anni in uno stato di abbandono, si trasformava in museo, atelier, spazio vivo. E al centro di questo nuovo movimento c’era Jago, scultore visionario pur nella fedeltà alle tecniche tradizionali, ma soprattutto capace di contribuire alla trasformazione di luoghi e persone. La presenza di Jago nella Sanità non è stata un episodio fortuito. L’artista ha trovato qui un territorio vibrante, ricco di contraddizioni ma anche di un’energia rara e immediatamente percepibile. Attraverso una convenzione che ha permesso l’uso della chiesa come atelier, Jago ha potuto lavorare all’interno di un edificio storico, trasformandolo progressivamente in uno spazio culturale aperto al pubblico. Il risultato è stato sorprendente: un luogo rinato non solo nella struttura, ma nello spirito, capace di diventare un punto di riferimento per la comunità e per i visitatori provenienti da tutto il mondo. La recente nuova apertura dopo i lavori di restauro, resa possibile anche grazie all’Art Bonus e al sostegno di Intesa Sanpaolo, ha segnato un ulteriore passo avanti. Gli interventi hanno migliorato la fruizione, consolidato l’edificio e avviato un percorso più ampio di recupero architettonico, restituendo alla chiesa una bellezza a lungo trascurata. La poetica di Jago si distingue per la capacità di coniugare la tradizione della scultura classica con una sensibilità contemporanea che racconta l’umano nelle sue fragilità e contraddizioni. Ogni opera nasce da un lavoro attento sulla materia e sul dettaglio, ma anche da una riflessione sulla società, sull’identità e sul tempo che segna i corpi e gli spazi. Il marmo diventa così non solo materia, ma linguaggio e narrazione, in grado di instaurare un dialogo con chi osserva. Jago lavora spesso su figure isolate, corpi che esprimono tensione, introspezione, ma che allo stesso tempo si aprono a una dimensione collettiva, perché invitano chi guarda a interrogarsi sulla propria esperienza e sulla realtà che lo circonda. La sua arte, pur fondata su tecniche tradizionali, è sempre proiettata verso il presente: le sue sculture dialogano con lo spazio che le ospita, con la luce, con la storia dell’edificio e con chi lo abita o lo visita. In questo senso, il museo diventa non un contenitore passivo, ma un luogo in cui la creatività si fa strumento di trasformazione sociale e culturale. In questo contesto rinnovato si colloca una delle opere più emblematiche dell’artista: Integrazione. Entrando negli spazi del museo, la scultura appare come un corpo sospeso tra fragilità e rinascita. L’opera, realizzata inizialmente nel 2022 e originariamente intitolata Marmo Italiano, raffigurava un giovane uomo disteso su un fianco, scolpito in marmo nero estratto da una cava italiana. Il contrasto cromatico con l’idea di “italianità” voleva interrogare lo spettatore sui pregiudizi legati al colore della pelle, proponendo una riflessione sulla complessità delle identità contemporanee. Ma la vita dell’opera è stata tutt’altro che lineare: ha trascorso un mese in mare a bordo della Ocean Viking di SOS Mediterranee, ha partecipato a campagne contro il razzismo allo Stadio Olimpico di Roma, è stata esposta su Ponte Sant’Angelo, dove è stata vandalizzata e ridotta in pezzi. Da quella ferita Jago ha scelto di non tornare indietro, ma di andare oltre. Ha ricomposto la scultura utilizzando marmo bianco, proveniente dalla stessa cava del materiale originale, trasformando la frattura in un dialogo visibile tra differenze. Così è nata Integrazione: un’opera che non racconta solo la vulnerabilità e la violenza subita, ma la possibilità concreta di ricomporre i conflitti, di trasformare una ferita in un patto, una divisione in un ponte. Questa visione trova una sua incarnazione diretta nella vita quotidiana del museo, perché lo Jago Museum non è un luogo neutro: è un presidio sociale. A gestirlo è la cooperativa La Sorte, composta da giovani del Rione Sanità che hanno trovato in questo spazio un’opportunità di lavoro stabile e dignitosa. Vederli muoversi tra le opere, raccontare con orgoglio la storia del museo, accompagnare i visitatori in un percorso fatto non solo di arte ma di cambiamento, è forse il cuore più pulsante del progetto. In un quartiere dove crescere significa spesso confrontarsi con ostacoli enormi, avere un lavoro regolare, riconosciuto, legato alla Cultura, rappresenta un ribaltamento radicale. Non è semplicemente un impiego: è una possibilità di riscatto, un modo per sentirsi parte attiva del proprio territorio, per immaginare un futuro diverso. Ecco allora che Integrazione, con le sue cicatrici visibili e la sua ricomposizione armonica, diventa una metafora potente di ciò che accade ogni giorno tra queste mura. Racconta la possibilità di cambiare, di crescere, di trasformare il dolore in un nuovo equilibrio. Racconta la storia di un artista che, pur radicato nella scultura tradizionale, sa parlare al presente, e racconta la storia di un quartiere che scopre nella Cultura non un lusso, ma un’occasione concreta di emancipazione. La visione artistica di Jago, che fonde tradizione e contemporaneità, tecnica e messaggio sociale, trova compimento qui, dove la sua arte dialoga con la città, con i giovani che animano il museo, e con chiunque entri negli spazi rinnovati. Negli spazi rinnovati di Sant’Aspreno, mentre la luce filtra tra le superfici antiche e nuove, si percepisce ciò che accade quando un artista sceglie di condividere il proprio percorso con una comunità intera. La pietra, materia della memoria, diventa così materia di speranza. E il Rione Sanità dimostra ancora una volta che la trasformazione non inizia dagli edifici, ma dagli spazi e dalle persone che li vivono, li proteggono e li fanno rinascere.

